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Le DIVICHE


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Ivo De Palma: Ringrazio i 1500 (malcontati) contatti che in vario modo mi hanno quest'oggi gratificato della loro attenzione e del loro tempo, in occasione del mio compleanno. Ho cercato di ricambiare a mia volta il loro affetto con un celere "mi piace", e spero di non aver dimenticato nessuno, in caso me ne scuso.

 

In privato, si è anche fatto vivo, col suo vero nome, un mio antico avversario di polemiche "cavalleresche", precedenti alla mia decisione, assunta ormai mesi fa, di ignorare ogni tipo di attacco che non sappia discernere tra la franchezza delle opinioni e il livore dell'invettiva. O, più semplicemente, tra il livello professionale e il livello personale.

 

A onor del vero è stato lui a palesarsi, confidandomi il nick che utilizzava un tempo. E questo malgrado io non fossi particolarmente interessato ad approfondire. Se uno mi scrive per farmi gli auguri, per me può anche essere, a mia insaputa, Jack lo Squartatore: ringrazio cortesemente, come faccio con tutti, e finisce lì.

 

Invece, recentemente colpito da un grave lutto, l'ormai ex-avversario mi confida di aver capito molte cose, alcune delle quali, gli ho confermato, sicuramente più importanti dei destini italiani di un cartone animato televisivo. Di aver abbandonato certi server, certamente poco edificanti (e ci voleva poco a capirlo, eh), di aver cambiato vita e messo la testa a posto. Il tutto condito da scuse per le intemperanze di allora al mio indirizzo, sia pure compensate, a suo dire, da analoghe vessazioni da lui subite nel medesimo ambiente. Non sono mancate, nella pacata conversazione su Messenger, le ormai consuete "captatio benevolentiae", del tipo che con la mia voce ci è cresciuto e che anche ora, che ha bisogno di energie per risollevarsi, il ricordo di quella voce gli è di sprone.

 

Magnifico, dirà qualcuno. Un bellissimo lieto fine, degno di un film. O degno della tv più popolare, come fosse una sorta di "C'è posta per te" in salsa "cavalleresca". L'antico persecutore (a dire il vero, all'epoca, in ottima e numerosa compagnia) si ravvede dopo un evento straordinario, e porge le sue scuse al povero (si fa per dire) perseguitato. Roba da Promessi Sposi. O da folgorazione sulla via di Damasco. Rassicurante come spesso lo è il buonismo, piaccia o non piaccia.

 

Perché, allora, c'è qualche conto che non mi torna?

 

La maldicenza è una forma di danno molto particolare. Una ferita guarisce. Se dopo un po' mi chiedi scusa, ti posso perdonare. Se tu infanghi la mia reputazione, invece, e oltretutto lo fai sul web, dove può leggere il mondo intero (compresi i miei figli), anche se poi cambi vita (e solo in seguito a un evento traumatico, ché sennò forse saresti ancora lì a delirare), diventi un angioletto e ti degni perfino di chiedermi scusa, purtroppo non basta. Perché danneggiarmi in pubblico e scusarti in privato è troppo comodo. E perché le cose che hai scritto di me senza nemmeno conoscermi di persona restano lì, per anni, e continuano a infangarmi. Che all'epoca, a tua volta, tu abbia subito, da altri tuoi pari, lo stesso trattamento, è ininfluente. Perché tu non sei un professionista del settore, con una reputazione da salvaguardare, e perché comunque agivi sotto falso nome, quindi nessun insulto ti ha mai toccato, e mai ti toccherà, personalmente.

 

Quindi tu, ora, resti con il bel ricordo della mia voce che ti ha cresciuto (come ha cresciuto molti dei peggiori di quella risma) e il cui ricordo anche adesso ti sostiene nelle difficoltà. A me invece restano i tuoi improperi, gratuiti e imperituri.

Non proprio uno scambio equo, lasciatemelo dire.

 

Perché tutti comprendano il punto, e scoprano che forse i Cavalieri dello Zodiaco non sono sufficienti a insegnare proprio a tutti certi valori, vi propongo un bel pezzo dal film "Il dubbio".

 

Grazie per l'attenzione.

 

 

Marco Sarro: Imparai proprio da te a non perdonare chi mi insultava in bacheca e mi chiedeva scusa solo in privato! Troppo comodo! Ovviamente per un personaggio pubblico come te la cosa è maggiormente più valida...

 

Roberto Napoli: E vero come ha avuto il coraggio di insultare dove possono leggere tutti deve avere il coraggio di chiedere scusa ugualmente dove possono leggere tutti!!!

 

Ivo De Palma: Roberto, parliamo di gente che il coraggio non l'ha a prescindere. Altrimenti ci metterebbero fin da subito nome e faccia. Come faccio io.

 

Cinzia Palmarini: Beh di certo quando uno ha la faccia di dire cattiverie,dovrebbe averla anche per scusarsi nello stesso modo...ma Ahimé,non tutti hanno questo coraggio di essere uomini veri!

 

Roberto Napoli: Ah quindi scrive anche sotto falso nome, e allora non credo neanche alle sue scuse

 

Ivo De Palma: Le scuse me le ha fatte col suo nome vero, come ho scritto, ma in privato.

 

Gli improperi pubblici, ovviamente, qualche anno fa, sotto nick.

 

Cinzia Istrice Cristiano: Beh, che dire? Forse non si tratta tanto di non perdonare, quanto di non CONdonare le conseguenze da te subite con gli insulti ricevuti pubblicamente. Tra l'altro, hai pienamente ragione nell'affermare che è troppo comodo scusarsi privatamente, dopo che te ne ha dette di ogni colore in pubblico.

 

Clara Ceglie: Mi auguro che abbia veramente capito i suoi sbagli e che abbia veramente cambiato vita. Sai com'è molto spesso il lupo perde il pelo ma non il vizio. Che Dio l'assista e lo guidi in modo da non commettere più certe sciocchezze nè contro di te nè contro altri!

 

Clara Ceglie: Comunque Ivo per tutto quello che questo signore ti ha fatto passare ti dovrebbero dare una medaglia o un premio per la sopportazione e la pazienza! Credo che poche persone se fossero state al tuo posto si sarebbero comportate alla stesso modo e avrebbero gestito la situazione come l'hai gestita tu! Complimenti!

 

Ivo De Palma: Sono ben più d'uno.

Poi invecchiano e si ravvedono.

Ma ci sono altri che arrivano.

Ormai li lascio perdere tutti quanti.

Però se poi vengono a scusarsi allora due ragionamenti decenti glieli faccio.

 

Clara Ceglie: Come si dice: Ognuno ha la propria croce da portare! Altro che medaglia, ci vorrebbe una statua! Mi spiace tanto che ci sia gente che si comporti così con te..

 

Ivo De Palma: È lo scotto da pagare alla popolarità. [:lolla: :lolla: :lolla:]

È fisiologico.

Ma il capitolo "scuse" è altro affare.

 

Clara Ceglie: E sì hai ragione! Solo che la parola scusa è molto difficile da pronunciare sopratutto per i tipi orgogliosi (come credo sia questo signore). Ammettere i propri sbagli e chiedere scusa è un atto di umiltà se poi è accompagnato da una ramanzina ben venga! Se uno è intelligente capisce dove ha sbagliato ed eviterà di fare gli stessi errori in futuro..

 

Eleonora Del Frate: Scusami Ivo, sarò estrema, ma questo personaggio con il suo fare mi sembra un mitomane. Mi mette un po' i brividi.

 

Marco Bonardelli: Sono solidale con chi ha un grave lutto perché anche io l'ho subito cinque anni fa con la scomparsa di mio padre, ma una persona così è solo un povero vigliacco con la coda tra le gambe che vuole "redimersi" per chissà quali oscuri motivi. Con questa sua uscita è riuscito nella difficile impresa di essere idiota pure nel lutto.

 

Ivo De Palma: Ho cercato di non infierire, su quel lutto.

Avrei potuto maramaldeggiare alla grande.

Ma è comunque difficile dimostrare empatia verso chi ti ha trattato in un certo modo. Non sono né Madre Teresa, né Papa Francesco, né un qualsivoglia buon cristiano che porge l'altra guancia.

 

Davide Murmora: spero che il tuo ex-hater abbia letto tutto il tuo discorso... e magari gli sia servito a crescere un po' ed a diventare una persona migliore o, se non altro, adulta. Un regalo, ancora una volta, sin troppo gentile da parte tua.

 

Ivo De Palma: Parzialmente, sono cose che gli ho già fatto presenti al momento, in privato.

 

Denilessio NomeFigo Palmenon: Sono tra quelli che hanno ricevuto il "like"! Ivo, secondo me dovresti proprio sbattertene gli zebedei di chi ti critica (o meglio) offende, senza nemmeno conoscerti. Perché tanto, per ogni idiota in cerca dei suoi 5 minuti di visibilità (non mi stupirei se in passato l'individuo da te menzionato sia andato in giro a vantarsi di aver "litigato con Pegasus) ce ne sono almeno 100000 che ti adoreranno sempre! Non tanto per il fatto di essere la voce con cui molti di noi sono cresciuti, ma piuttosto per il fatto che trovi sempre il tempo per i tuoi fans! Molti vips non si sarebbero neanche degnati di leggere dei messaggi di auguri rivolti a loro. Invece tu, non solo li hai letti TUTTI, ma hai dato prova di averlo fatto e come se non bastasse, hai anche chiesto "scusa" per eventuali dimenticanze! Per quanto mi riguarda sarò sempre onorato di averti tra i miei contatti!!!

 

Ivo De Palma: Ma io so benissimo che il problema non si risolve. Offro spunti di riflessione a tutti. That's all. :)

 

Il lutto non sarà di chi penso?

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  • 2 weeks later...

Il “doppiese”, la lingua irreale delle traduzioni

 

 

Ivo De Palma: Qualcuno di voi mi invia questo link sollecitando un mio parere.

 

Si tratta di un pezzo che non verte in primo luogo sul doppiaggio, anche se quest'ultimo ne è parte importante.

 

La tesi, in breve, è che certi caratteristici modi di adattare alcune battute cinetelevisive in italiano, modi che dipendono dall'esigenza di rispettare la durata del labiale, darebbero vita a costruzioni particolari, non sempre rispondenti alla soluzione di più immediato utilizzo nel parlato naturale. Forme quindi un po' artificiali, che hanno il grande torto, e qui si arriva all'argomento che sta a cuore a chi redige il pezzo, di intrufolarsi anche, per superficialità o insipienza di chi le adotta, nella narrativa scritta.

 

Naturalmente, va da sé che un linguaggio artistico così popolare, com'è certamente il cinema, abbia ripercussioni su altri ambiti espressivi. Succede col teatro degli autori contemporanei italiani, che si nutre (salvo casi molto particolari) di dialoghi stringati ed essenziali e di ambientazioni molto realistiche. Succede con i fumetti, che all'interno della stessa tavola inseriscono spesso dei "botta e risposta" tipicamente cinematografici, agendo anche sulla dimensione dei caratteri per suggerire l'intensità variabile delle battute, come se fossero "ascoltate" più che lette (e un po' lo facevano già i futuristi). Succede in fotografia, che peraltro al cinema è da sempre strettamente legata. E succede anche nella narrativa, dove sempre più spesso, durante scambi dialettici tra i personaggi, il narratore si fa da parte e lascia che i personaggi interloquiscano senza soluzione di continuità, come appunto in un film. E ricordiamoci che perfino Prèvert e Pavese furono autori di sceneggiature cinematografiche.

 

Il cinema, quindi, è fortemente invasivo, sia nel nostro immaginario che nel nostro modo di esprimerci, quotidiano o artistico che sia. E' un dato di fatto, nel bene e nel male. La parola "negro", che in Dante (per dirne uno che non le mandava a dire) non aveva nulla di offensivo, ha assunto in Italia la ben nota connotazione negativa per via del cinema, in cui "nigger", da noi tradotto con "negro", era perennemente scandito con intonazione spregiativa. Ed è lo stesso motivo per cui, nell'era del "politically correct", quasi nessun italiano ha più il coraggio di usarlo per definire un non caucasico di colore scuro.

 

Il doppiaggio, che resta il miglior compromesso tra lingua originale e sottotitoli, ha certamente alcuni vizietti autoreferenziali, dovuti all'imperativo del doversi circoscrivere alla durata della battuta originale e talvolta anche alla maggiore o minore apertura delle sillabe nel labiale. Bisogna riconoscerlo, senza nascondersi sempre dietro la comoda scusa, menzionata anche nel pezzo, dei budget sempre più risicati.

 

Invece i soldini non c'entrano.

 

- il doppiaggio è autoreferenziale nel momento in cui, per esempio, riempie i labiali lasciati muti in originale, per timore che qualcuno, pubblico o clienti o aziende concorrenti, possa pensare che quel labiale non è stato coperto per scarsa attenzione [invece coprire i silenzi con battute allungate o pensieri inesistenti cos'è? :°_°:]

 

- è autoreferenziale nel perpetuare alcuni modi di dire che nascono dalla sola esigenza di coprire bene il labiale. Tipo "chiudi il becco", in cui la "b" copre l'appuntamento con la "p" di "shut up". Tipo "hai capito bene?", che copre (meglio del più plausibile "hai capito?") la lunghezza di "do you understand?". Tipo "ormai", spessissimo a fine frase per meglio coprire "anymore". Tipo il "già" in luogo di "sì", perché "già" copre meglio l'originale "yeah". Tipo "ti ringrazio" al posto del più immediato "grazie", perché copre meglio "thank you", mentre se in originale c'è "thanks" allora "grazie" va bene. E che dire del sistematico stemperare, in favore di italici equivalenti, la profluvie di "ok" presenti negli originali angloamericani? Qui pare che il doppiaggio sia semmai il primo argine verso un vezzo che è comunque già stabile anche nella nostra lingua. Ma è comunque, anch'esso, intervento arbitrario.

 

- a volte, la soluzione è discutibile ma non priva di fascino, come quando lo spietato protagonista di un bel film di Carpenter, in originale Snake, viene chiamato "Iena", perché "snake" è senza appuntamenti labiali (come appunto "iena"), mentre "serpente" (che traduce "snake") ha una "p" ed è comunque lungo, e "serpe" è lungo uguale ma ha sempre una "p" che in originale non c'è

 

- altre volte, la soluzione è fortemente avversata da critica e pubblico: ancorché rispettosa di sincrono e labiali, è ritenuta non congrua al significato dell'originale. E' il caso di Terminator, in cui la famosa battuta "I'll be back", cioè "Ritornerò", viene resa mediante la frase "Aspetto fuori", perché "p" e "f" possano più o meno combaciare con le due "b" dell'originale

 

- altre volte, si perdono occasioni preziose, come quando Keanu Reeves, in "Il profumo del mosto selvatico", dice "Succede!" su un originale "Happens!". In questo caso, il nostro "Càpita!" sarebbe stato semplicemente perfetto, per labiale ("a" su "a" e "p" su "p") e per significato

 

- altre volte, possono ingenerarsi equivoci, specie se chi osserva e critica è incline al complottismo. Mi capitò anni fa di leggere l'elaborato universitario di una studentessa appassionata di cinema, volto a dimostrare che l'adattamento italiano dei film di Marylin Monroe era scientemente, fin dalla scelta di certe parole, teso a presentare i personaggi che interpretava come piuttosto superficiali, secondo il classico cliché "bella e stupida". Lo studio comparava svariate battute originali con il corrispondente adattamento italiano, e io feci notare all'autrice che gran parte di quelle scelte erano da imputare a evidenti (non per lei, ma per me che di doppiaggio sapevo più di lei) tentativi di adeguarsi al sincrono e alla corrispondenza delle aperture e chiusure labiali. Quindi la sua teoria, da alcuni peraltro condivisa, alla prova dell'analisi competente di ogni battuta risultava alquanto discutibile, fermo restando che il falso ideologico è comunque tra i rischi, o tra le malizie, del nostro mestiere.

 

In tutti questi casi, il budget non c'entra nulla, anche perché vi ho fatto esempi del tutto illustri e anche abbastanza datati, quindi risalenti ad anni in cui sicuramente non c'era spending review nell'aria.

 

Tutto bene, quindi?

 

No, naturalmente. Doppiaggio e adattamento dialoghi nell'era globale hanno i loro bei problemi. Ovviamente anche di budget, ma non in merito al particolare problema sollevato in questo link. E soprattutto, in questo periodo, hanno il problema di un contratto nazionale che non si riesce a rinnovare da oltre 4 anni (altro che mafia, come ha pontificato ieri Cassel...).

 

Ma se la narrativa riprende dal doppiaggio "Ma che stai dicendo?" (che copre interamente "What are you saying?") anziché il più spiccio "Ma cosa dici?", e lo fa pur senza avere problemi di rispetto del labiale, questo è ovviamente un problema di chi scrive, come del resto anche l'autore del pezzo riconosce.

 

Ché poi, insomma... l'espressione "Ma cosa dici?" ha 118 mila occorrenze su Google. Mentre "Ma che stai dicendo?" ne ha 77 mila (senza contare l'equivalente romanesco, molto usato, "ma che stai a ddi' ").

 

Meno, certo, ma non così poche da puntare il dito e parlare di "non lingua"...

 

Gianluca Perelli: Maestro dopo aver letto il tuo ennesimo post sono sempre più convinto che tu sia il re incontrastato dell'elocuzione, un controllo del linguaggio e organizzazione del discorso che farebbe paura al più illustre oratore. Mi chiedevo se c'è qualche testo o manuale in particolare a cui sei legato o hai attinto per sviluppare tale padronanza

 

Ivo De Palma: Ti ringrazio per il complimento.

Conoscere bene ciò di cui si tratta può aiutare, naturalmente.

E considera che l'uso del linguaggio nei suoi più svariati registri fa pur sempre parte del mio lavoro.

 

Premesso questo, la vera abilità consisterebbe nell'esporre argomenti complessi in modo semplice, accessibile a tutti. Nel mio caso, però, entra in gioco un certo gusto per l'uso della parola, che hai anche tu come fruitore (ed è già un buon punto di partenza).

 

Tutto il resto è sostenuto da discreti studi classici, che schiudono i meandri delle etimologie e arricchiscono la padronanza sintattica e la completezza lessicale. I manuali per esprimersi bene in italiano sono... il latino e il greco... ;)

 

Insomma, non sono laureato, ma, da attore, fingo di esserlo.

Plausibilmente, pare. :)

 

Gianluca Perelli: Più che plausibilmente, Maestro. Ciò che mi affascina è la sicurezza con la quale impieghi la parola, e la rapidità con cui riesci a formulare le idee e a ordinarle in contenuti con un senso di completezza sbalorditivo. Perché a questo punto, secondo me, non si tratta solo di essere virtuosi del linguaggio, ma di rappresentare l'arte della persuasione in una delle sue forme più elevate, accompagnata sempre da una forte visione critica e mai scontata. Grazie per i consigli, non mi sarà facile ripescare nozioni dal greco e latino, ma in caso dovessi scrivere un trattato sulla retorica sarò il primo ad acquistarlo. :)

 

Ivo De Palma: Eh, mi ci vorrebbero giornate da 72 ore... ;)

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Avete presente l'anime di Leda?

Inizio, esterno pomeriggio, , musica di piano di sottofondo, durata circa 5 minuti; c'e' lei che va incontro a lui.
Ad ogni campo e controcampo che mostra alternativamente lei o lui man mano che si avvicinano;

lei pensa/dice a velocita' warp tutta una serie di paranoie.

lui incespica di piu' come velocita', ma pure lui si esprime pensando tutta una serie di paranoie.

Il bello poi e' che si arriva quasi alla 'dissolvenza incrociata' di paranoie pensate quando alla fine incrociano la strada ed ognuno poi va per la sua.

 

com'e' in originale?
Si sente solo la musica del pianoforte.

 

 

I doppiatori nostrani non dovrebbero parlare dello scempio che fanno sulle opere con sorrisini piu' o meno compiaciuti o facendo battutine hihihihi, dovrebbero solo VERGOGNARSI di quello che fanno e, forse, avere almeno la decenza di non cercare un filo di visibilita' in piu' adoperando questo stesso scempio come aneddoti da raccontare.

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  • 1 month later...

Scusate se ho trascurato un pò gli aggiornamenti dalla bacheca di Ivo, dovrò fare qualche recupero. Intanto c'è questa fresca fresca :°_°:

 

Ivo De Palma: Certo, il fatto che molti giovani qualificati non trovino né il lavoro adeguato alla qualifica, né altra dignitosa occupazione in altri campi, stride ogni anno, al cadere della Festa del Lavoro.Poi, come in questa schermata che vi propongo, ci sono gli sprovveduti, assolutamente non qualificati, e forse nemmeno promettenti nel loro campo d'interesse, per i quali la colpa è sempre di qualcun altro...Buon 1° Maggio, ancorché qui e là freddo e piovoso.kd0eu8.jpgIvo De Palma: Ecco, ho scaricato uno dei fandub del signore che, dopo avermi chiesto un giudizio, si è molto impermalosito arrivando all'insulto (dettagli sul mio precedente post di oggi). Pubblicandolo in questo modo, con compare comunque il suo nome, quindi la sua privacy è garantita.Ora, ragazzi, intendiamoci.Ricevo di tutto, e ci sta che anche chi non è particolarmente ferrato, né particolarmente dotato, chieda un parere, e magari anche un consiglio. Voi sapete che parlo con tutti e che non faccio distinzioni di sorta.Ma di fronte al contenuto vocale di video come questo (lui mi ha inviato un Aladino, ma siamo lì), da parte di chi si presenta oltretutto come "studente di doppiaggio", è chiaro che io non posso fare altro che consigliare un robusto approfondimento delle basi indispensabili, cioè dizione e recitazione. Il che non è segno di disprezzo, ma consiglio spassionato. Non è una punizione, ma un incoraggiamento. Non è una porta in faccia (anche perché io non ho alcun potere di aprirla a chicchessia), ma l'indicazione dell'unica via che a quella porta, aperta o chiusa che sia, vi può condurre.Credetemi, le raccomandazioni non c'entrano nulla. Se siete al di sotto di un certo livello, non c'è raccomandazione che tenga, perché il doppiaggio è un mestiere troppo specializzato per potersi improvvisare. Al limite, potete diventare, nel frattempo, star della tv, e sperare che vi chiamino a microfono come talent. Solo così potete ambire a fare doppiaggio senza gavetta. Ma dovete essere tipi che già solo il nome smuove milionate...
Il tizio sarebbe l'autore di questohttp://youtu.be/yMmkC2PsH9Q
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Io non discuto che Ivo abbia fatto bene a cestinare il video di questo tizio. Il punto è che soggetti come quello hai idea di quante decine di doppiatori andranno a rompere? Però il gusto per le lamentazioni pubbliche ce l'ha solo lui. Senza contare il finto perbenismo quando i crociati assetati di sangue hanno chiesto nome e e cognome del tizio ed Ivo ha risposto che deve tutelarne la privacy, però stranamente ha fornito tutti gli indizi per rintracciarlo :whistle: (io ci ho messo due minuti)

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A dire il vero queste sono realtà per lo più limitate ai contatti internet. Credo che anche il signor De Palma potrebbe confermare che il mondo delle persone dietro a uno schermo e quello delle persone in uno studio di lavoro sono molto diversi. A me capita spessissimo di trovare persone che mi chiedono, sempre gentilmente, di "farsi ascoltare", o "un provino". Ma sono sempre tutte persone che sanno cosa stanno facendo. Più o meno dotate, ma che magari hanno seguito in silenzio molti turni di doppiaggio per capire come funziona, che hanno preso lezioni di recitazione o dizione o che comunque hanno un pregresso in un campo affine. Difficilmente la realtà professionale conosce molestatori di mole e numero come internet. E credo sia normale quanto inevitabile.

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Caschi a fagiolo Shito, ti avevano chiamato in causa :giggle:

 

Ivo De Palma: http://www.dimensionefumetto.it/adattamento-da-carrassi-a-cannarsi/

 

Cose che già sappiamo, per quanto riguarda i cartoni Mediaset (purché sia chiaro che la censura è stata, a un certo punto, voluta e ottenuta da quella parte di pubblico che si è organizzata e ha fatto legittima pressione per far valere le proprie ragioni, giuste o sbagliate che fossero, senza che vi fosse una controparte altrettanto organizzata a far valere le ragioni opposte).

 

Più complessa la seconda parte del ragionamento. Che deriva da una ben precisa posizione culturale, cui è stata data carta bianca dai committenti (insaporire di formalità giapponese il dialogo italiano). Il problema è che tale posizione legittima, per il solo ambito giapponese, ciò che mediamente è considerato, da chi traduce, un grossolano errore. Cioè il pedissequo calco.

 

Elisa Bottesin: La traduzione è tradimento, ma altrettanto processo naturale per un bene. Una comprensione piú vasta.

 

Poi, si sa col pubblico fissato non ne posso veramente piú. Quasi rimpiango i tempi in cui non ci avevo a che fare.

 

Daniele Valtorta: Tradire vuol dire venire meno ad un dovere o ad un impegno morale, non vedo cosa possa avere a che fare con quello che, di fatto, è un semplice servizio.

 

Ivo De Palma: Daniele.

Perdonami ma stavolta è un po' più complessa, e al tempo stesso più semplice, di come la fai.

 

La citazione, innanzitutto, è già vecchiotta e quindi non è che vien fuori ora. Qualcuno, evidentemente, ci ha già riflettuto sopra ben prima di noi.

 

Poi, è evidente che il discorso è prettamente etimologico. Condividendo i due verbi la stessa origine.

 

Ma anche a volerla vedere come dici tu, il "dovere morale di attenersi ai contenuti originali" va spesso "tradito" per trasporre in altra lingua lo stesso spirito della battuta originale, che attenendosi ai contenuti di partenza andrebbe semmai a perdersi.

 

Daniele Valtorta: Ma la traduzione e l'adattamento sai tu per primo Ivo che sono due cose diverse. Io non stavo contestando quanto sopra, ma solo l'accostare la traduzione ad un termine forte e negativo come tradimento. L'adattamento delle volte può tradire, ma la traduzione di per se è un dovere morale essa stessa, proprio perchè rende disponibile a tutti un'opera di intelletto.

 

Ivo De Palma: Daniele.

La verità?

Mi pare un atto di autoerotismo cerebrale.

Qualunque bravo traduttore sa di cosa parlo e condivide. Così come qualunque bravo dialoghista. E del resto il link si riferisce all'adattamento.

 

Massimo Soumare: Intendiamoci.

Forse sarebbe meglio non usare la parola traduzione, perché crea fraintendimenti tra i non addetti ai lavori.

Nel caso di lingue come il giapponese o il cinese, si tratta di "ricreare"/"adattare" un testo cercando di mantenere un senso più vicino a quello originario, ma molto spesso non è possibile tradurre davvero il testo.

Faccio un esempio, in giapponese esiste una trentina di modi per dire io, ognuno dei quali rende di per sé un carattere diverso di chi parla. Già semplicemente da questo uso, io individuo perfettamente il parlante che tipo di persona sia. Ora, in italiano di "io" ne esiste uno solo, quindi, volendo lavorare per dare quell'impressione, devo farlo sull'intero modo di parlare della persona. Oppure lasciare semplicemente io, però perdendo tutte le informazioni che la prima persona singolare giapponese fornisce.

Altro esempio, gli alieni di Dottor Slump. Parlano in dialetto di Nagoya. Avrebbero dovuto quindi, a rigor di correttezza, farli parlare in un dialetto italiano?

In Giappone è normale usare dialetti e parlate particolari sia in romanzi che in prodotti televisivi. Per non parlare delle opere storiche, dove usano sempre un linguaggio tipico del medioevo (tanto per far capire, sarebbe come se noi avessimo tutti i romanzi storici e i film in costumi italiani parlati come Brancaleone).

In una traduzione come la intendono alcuni sostenitori della "traduzione letterale" dal giapponese, allora dovremmo davvero tenere conto anche degli elementi sopra scritti. Ma questo creerebbe effetti come minimo ridicoli.

 

Riguardo Mediaset, ho sentito Valeri Manera fare delle considerazioni interessanti. Qui si può vedere un documentario in cui le spiega alcune cose. Giusto per sentire anche le ragioni delle altre parti in causa e considerando anche la situazione del periodo. Non sempre si poteva fare quello che si voleva. Soprattutto, come dice molto giustamente Ivo, quando poi c'erano molte persone che protestano attivandosi energicamente.

 

http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Flucamartera.blogspot.it%2F2015%2F10%2Fspeciale-lupin-iii-lavventura-italiana.html&h=3AQGQr8zY

 

Poi a me, parere personale, gli adattamenti di Cannarsi paiono assurdi, ma s ealla Ghibli vanno bene c'è poco da fare.

 

Ivo De Palma: In tutto il mondo in un film si parla tendenzialmente la parlata locale. Che ovviamente renderà quella produzione perfetta soltanto in quella particolare parlata. Un samurai sarà perfetto solo in giapponese e uno scugnizzo solo in napoletano.

 

In rete si trova il celebre inseguimento con Aldo Fabrizi e Totò dal film "Guardie e ladri". Doppiato in cinese. Lavoro discreto, ma per noi Totò è perfetto solo in originale.

 

Il doppiaggio è un compromesso.

Come la traduzione.

 

Massimo Soumare': Infatti.

Il metro di giudizio di americani e giapponesi in una traduzione/adattamento nella loro lingua è che "sembri scritto/parlato da un giapponese/americano".

Solo da noi abbiamo quest'idea folle che dev'essere preciso all'originale.

Da lì cose risibili come gli innumerevoli zietti, nonnini e fratelloni degli anime giapponesi (che poi sembra che tutti i giapponesi siano parenti e ti immagini incesti a livelli cosmici, ah ah ah!).

La cosa assurda, poi, è che questa rigida visione riguarda solo il giapponese.

 

Giulia Pasqualini: Sono davvero orgogliosa del fatto che una persona come Ivo de Palma che stimo come doppiatore ed adattatore abbia trovato il tempo di leggere e condividere un mio articolo. Grazie davvero. In secondo luogo vorrei chiarire una cosa: è tradurre O tradire, chiaramente era un mero gioco di parole riferito ai due personaggi nell'articolo, non alla traduzione in generale (che per quanto mi riguarda è cosa buona e giusta, sono stata la prima ad esultare per l'arrivo in Italia di "Steins;Gate"). Anche che la verità stia nel mezzo è solo un proverbio da saper usare bene un base alle situazioni. In realtà avrei voluto dire molto di più, ma mi sono frenata un po' per la sintesi e un po' perché (spoiler) sono in arrivo altri articoli sull'adattamente, quindi stay tuned. P.S. La Terra essendo schiacciata leggermente ai poli è effettivamente ovale.

 

Stefano Gigante: Forse mi sbaglio, ma potremmo anche provare a cambiare paradigma e considerare un doppiaggio "creativo" non un tradimento o un orrore, ma un'opera derivativa in tutto e per tutto e, come tale, giudicarla.

 

Promuovendo quindi, e lo dico senza piaggeria alcuna ma per gusto, casi in cui l'opera derivativa ha ottenuto lo scopo che si prefiggeva e bocciando i casi in cui ciò non è avvenuto

 

Ivo De Palma: Concordo perfettamente.

Ovvio che se le modifiche nascono da censura (da chiunque sia promossa) il discorso cade.

 

http://www.facebook.com/ivodepalma/posts/10209437140268176
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Muoio.

 

Ivo si è incazzato come una bestia perché qualcuno ha OSATO modificare un testo che aveva scritto, senza chiedergli il permesso :lolla:

 

Ivo De Palma: Ogni tanto, può capitare che qualcuno mi chieda di scrivere due parole di presentazione per la propria più recente fatica cartacea. Quella che il gergo letterario chiama pomposamente "prefazione".

 

Idea carina, cui in genere mi presto senza troppi problemi, ancorché spesso la richiesta mi pervenga in via del tutto amichevole, e quindi senza che io ne tragga alcun materiale profitto, mentre il mio nome, per piccolo che sia, viene da quel momento abbondantemente speso per la promozione del prodotto.

 

Tutto bello, tutto gratificante (per ambo le parti), tutto ok.

 

Finché...

 

... finché non mi rendo conto, a stampa avvenuta, che quella prefazione, da me firmata, non è più, esattamente, "la mia" prefazione. Le somiglia, sì. Ma non ha più tutto il mio lessico, tutta la mia sintassi e tutta la mia sintesi, tutta la mia chiarezza nell'articolare il mio pensiero su quello specifico tema. Tutto il mio stile, in una sola parola. E soprattutto, il che è particolarmente lesivo non solo per me, ma anche per il prodotto, non ha più tutta l'efficacia che oltre 30 anni di esperienza professionale con il patrio idioma avevano garantito alla stesura che avevo inviato alle stampe.

 

Troppo criptico?

Riformuliamo in breve.

 

Finché non mi accorgo che qualcuno ha messo mano alla mia stesura. Rimaneggiandola, cambiando frasi, spostando punteggiatura, e in qualche passaggio addirittura alterando ciò che intendevo realmente dire. Il tutto, però, sempre con la mia firma in calce, tanto che chi mi conosce e mi segue legge, e resta un po' basito, perché, molto semplicemente, non mi "ritrova".

 

E questo non è affatto bello.

Specie considerando che è avvenuto, come direbbe Scajola (ma nel mio caso è la verità), "a mia insaputa".

 

"Eh, ma quante pretese - si dirà - mica scrive necessariamente oro colato, questo qui, e se perfino i grandi autori hanno un "editor" che è proprio lì a fare da mastino e a indirizzare la loro creatività in un certo modo, vuoi che nessuno possa metter mano alle sue quattro parole messe in croce?"

 

E' vero.

Ma anche no.

 

Premesso che sono fallibile come chiunque e ciò che scrivo può anche non piacere (come capita anche qui in bacheca) proprio a tutti, mettiamo qualche puntino sugli "i", proprio come farebbe un "editor"...

 

L'editor agisce "di concerto" con l'autore, che è perfettamente consapevole del suo ruolo e della sua funzione. Insieme, i due discutono su come procedere, possibilmente in relativo accordo. Qualora l'editor, come rappresentante di chi pubblica, dovesse avere comunque l'ultima parola su un certo percorso o su una certa soluzione, il tema sarà comunque stato già ampiamente trattato con l'autore.

 

Ergo, ciò che io firmo, e specie se concedo elaborato e firma "gratis et amore dei", è innanzitutto mio, e solo in seconda e ben distinta battuta, di qualcun altro. Specie se sto facendo un favore personale, ché il grande autore e il suo editor, a differenza mia, hanno comunque il loro bel ritorno economico.

 

Ho fatto l'esempio dell'editor per far capire quanto sia consapevole del fatto che una sponda professionale competente sia utile e comunque prevista nella prassi. Nel caso specifico invece, l'autore ha fatto da editor a se stesso, e anche alla mia prefazione, con esiti per me molto discutibili. La casa editrice specifica che il volume "riproduce fedelmente il testo fornito dall'autore", comprese quindi le correzioni apportate alla mia prefazione.

 

Io sono notoriamente disponibile, e certo molto più di molti miei colleghi (più o meno titolati di me che siano), ma bisogna che alcuni abbiano ben presente l'enorme differenza che passa tra "essere disponibile" e "essere a disposizione". E' una cosa molto diversa.

 

"Eh, ma in fondo - si obietterà - nelle presentazioni pubbliche del libro vieni costantemente elogiato per la tua prefazione. Questo non conta niente?"

 

Ora, io lo so che l'autostima rischia sempre di passare per superbia, sicché uno che, oltre alla precisa coscienza dei propri limiti, ha anche una chiara idea dei propri pregi, viene in genere liquidato come uno che "se la tira". So come va il mondo e so come va il web, state pure tranquilli. Eppure nulla mi toglie dalla testa che l'abbinamento del mio nome alla promozione di un libro sia innanzitutto funzionale, per l'appunto, alla promozione di quel libro, non certo alla promozione di me stesso. Io, nel mio piccolo infinitesimale, la stima del pubblico, bene o mal che sia riposta, già ce l'ho, per quel che ho fatto in oltre 30 anni di carriera. Elogiarmi in pubblico per una prefazione che, così com'è stata riveduta e corretta, non merita più la mia firma, aggiunge al danno una beffa ulteriore. "Embè? - dirà chi la legge subito dopo, e specie se già mi conosce - Chissà che m'aspettavo...". E poi, non è che tutti quelli che leggono il libro hanno assistito alle presentazioni. Quegli elogi li sentono pertanto in pochi.

 

Tutto ciò premesso, per il futuro, prego chiunque di tenere ben presente quanto segue.

 

- chi sa di essere affetto da ostinata, incoercibile e inguaribile sindrome della "maestrina dalla penna rossa" scriva da solo la prefazione del proprio libro, o coinvolga nella disperata e ingrata impresa qualcun altro

 

- chi, ricevuto il mio elaborato, ne dovesse trovare indigesto l'intero impianto abbia la cortesia di farlo presente, indicandomi eventualmente la linea che preferisce e consentendomi quindi di poter scegliere tra adeguarmi alle direttive e abbandonare l'impresa in favore di altro più consono commentatore. Se decide comunque di correggere, mi faccia almeno la cortesia di inviarmi quanto ha deciso di pubblicare, sempre per consentirmi la scelta di cui sopra

 

- chi dovesse trovare inopportuni solo alcuni passaggi della prefazione abbia la compiacenza di segnalarmeli, perché si possa trovare insieme il modo di rielaborarli o, come extrema ratio, si possa decidere insieme di cassarli

 

- chi ha già un'idea molto chiara di ciò che vuol far comparire nella prefazione non abbia remore a stilare una scaletta degli argomenti che ritiene irrinunciabili o, al limite, a scriverla per intero, in modo che io possa rielaborarla secondo il mio stile e apporre la mia firma come se fosse interamente mia

 

- chi ritiene che ciò che ho scritto sia accettabile nell'impianto, ma non nella forma, sia gentile e me lo faccia presente, in modo tale che si possa eventualmente decidere insieme di pubblicare il testo con abbondanti correzioni, ma, a quel punto, SENZA la mia firma

 

E' tutto.

 

Se poi qualcuno dovesse, con ragione, dimostrare che l'editor, o come in questo caso l'autore che si improvvisa editor, può fare quel che gli pare, ne prenderò atto e per il futuro eviterò di mettere qualsivoglia mio scritto nelle mani di chicchessia.

 

Mi pare comunque che le opzioni siano svariate, e tutte rispettose di entrambe le parti. Potete ignorarle e fare di testa vostra solo se vi chiamate Sgarbi, Gramellini, Baricco o consimili preclari nominativi che danno lustro, ogni giorno, a cronache e lettere nostrane.

 

Gli altri, molti dei quali necessiterebbero semmai di un MIO (e anche energico) editing su ogni singolo paragrafo del loro libro, non si permettano più di cambiare una virgola di ciò che scrivo per loro senza farmelo sapere e senza ampiamente discuterne con me.

 

E sì, se a qualcuno fosse anche solo lontanamente parso, sono molto, molto arrabbiato (e per farmi arrabbiare per davvero ce ne vuole).

 

Grazie per l'attenzione.

 

http://www.facebook.com/ivodepalma/posts/10209144276749199

 

Ivo stai sereno! L'editor voleva solo MIGLIORARE la tua prefazione! :°_°:

Ma poi in 30 anni di onorata carriera te ne esci solo adesso che bisogna concordare le modifiche con l'autore originale, che in questo caso stranamente sei proprio tu :giggle:

 

 

 

 

:rotfl::rotfl::rotfl:

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Non so se vi e' mai capitato di vedere una versione customizzata di Quark Xpress (anche se magari ora si usa Indesign) in cui si creano le varie pagine mastro e ad ogni singolo riquadro si associa un box di tot battute fisse, i quali box poi sono collegati alle applicazioni dei singoli giornalisti, i quali in pratica immettono dal loro lato il testo che viene impaginato in automatico.

In estrema sintesi e' cosi' che i quotidiani si riescono a fare in tempi zero.

 

Ora, visto che l'unica discrimine e'la quantita' di battute (anche contrattualmente, del resto), qualcuno mi vuole veramente dire che l'unica cosa concretamente che interessa a chi realizza i pezzi non sia farci stare il testo qualunque vada?

 

Si, ok, ogni testo e' bello a mamma sua, ma questo come molto probabilmente sa per estensione l'estensore del Whining per l'altro si chiama in un certo modo:
LAVORO.

Ecco.

Sarebbe un po' anche da capire e fare distinguo, altrimenti veramente come bene avete fatto fin'ora, si arriva specialmente in questo contesto, all'umorismo involontario.

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Io non so se avete letto i commenti sotto, comunque. Tipo:
 
 

Utente1 Per quale motivo chiederti di scrivere qualcosa se poi ci si sente liberi di reinterpretare (e talvolta persino snaturare) il suddetto intervento? La rabbia è perfettamente comprensibile, mi spiace per la brutta esperienza.


In tutto questo, Shuji mi ha fatto venire in mente un'altra cosa(Grazie comunque. Mi sono sempre chiesto coem funzionassero i quotidiani).

Ha sempre affermato, basta trovare il video su LOS o un suo post qualsiasi contro i "puristi", che le modifiche apportate all'opera originale sono una questione di lavoro.
Lo fa perché deve portare la pagnotta a casa(giustamente anche, oserei dire).

Oltre la lamentela sullo snaturamento della sua prefazione, trovo anche abbastanza risibile che lui non giustifichi l'operato altrui a questo punto. O gli altri la pagnotta la pescano dagli alberi?

Tra le altre cose, credo che il libro di cui parli sia Angeli Caduti(che, appunto, ha una sua prefazione). Solo che è uscito a Febbraio, mi sembra un po' tardataria la lamentela, quindi magari sbaglio

Modificato da Chocozell
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Io trovo perfettamente condivisibile il pensiero di De Palma. Stiamo parlando di una prefazione, non di un articolo giornalistico che va impaginato in delle colonne alla velocità della luce (ah, Xpress, che ricordi...). Una prefazione è un testo libero, personale e 'critico': trovo imprescindibile che l'autore ne reclami l'integrità. Peraltro, non sappiamo neppure se questa testo non sia magari stato scritto come mero atto gratuito, a me capita.

 

Per testi del genere, di mio ho sempre rifiutato qualsiasi tipo di editing oltre alla correzione di refusi, e anche per quelli non correzione diretta: proposta di correzione [segnalazione].

 

Ma credo che in genere ogni editing su un testo tanto personale andrebbe proposto all'autore, non dato direttamente alle stampe.

 

----

 

Che al di là di questo, io ritenga che la stessa etica e deontologia vada applicata vieppiù all'adattamento [localizzazione] di ogni opera d'altrui ingegno, e che io sia conscio che il signor De Palma si sia distinto per un pensiero e una condotta pressoché antipodica, credo sia chiaro.

 

Ma non sia mai che un errore, che mille errori, che tutto quando di sbagliato ci sia legittimi altri errori, altre cose sbagliate.

 

No. No. No.

 

Sinanco un reo, mai dicesse una cosa giusta e vera, andrebbe applaudito. Perché più delle persone, la verità è nei fatti, nelle cose, nelle idee pure.

 

Dunque massima comprensione per Ivo de Palma, in questo caso.

Modificato da Shito
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i testi da anche prima di Gutenberg sono sempre e comunque arrangiati e modificati a seconda degli usi, da piu' e piu' mani.

SE a curarli e' il diretto interessato (fesseria a prescindere) allora ovviamente le cose vanno come vuole lui.

Abbastanza semplice.

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i testi da anche prima di Gutenberg sono sempre e comunque arrangiati e modificati a seconda degli usi, da piu' e piu' mani.

 

SE a curarli e' il diretto interessato (fesseria a prescindere) allora ovviamente le cose vanno come vuole lui.

Abbastanza semplice.

 

Sisì, è esattamente così.

 

Quello che intendevo è che se uno scrive una cosa come una "prefazione", in teoria ha tutti i mezzi e le maniere per tutelare la sua "integrità personale" del testo.

 

Ricordo che tutte le volte che mi hanno chiesto testi simili, fin dal 2005 quando pubblicai su Ciemme tutto il mio diario di lavorazione di Howl, era: se cambiate una sola virgola vi diffido alla pubblicazione.

 

Mi dissero: ma noi abbiamo le nostre convenzioni editoriali, per le quali indichiamo i titoli italiani dei film.

 

E io dissi: ah, ok, pazienza. allora niente, amici come prima.

 

E hanno infranto le loro convenzioni editoriali. ^^;

 

Diciamo che io mi sono sempre affacciato all'editoria con questo modus totalmente infantile: volete una cosa scritta da me? Ok, grazie, mi fate onore. Se la volete, è come la scrivo io. Se ne cambiate una sola parola: diffida.

 

Anche ai tempi di Dynamic ho sempre fatto così.

 

Chiaramente se uno scrive per mestiere non può farlo.

E' per questo che non potrei mai scrivere se non per passione, diletto, hobby, piacere, e quant'altro di buono.

 

Per mestiere, no.

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