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Lucky Red - Studio Ghibli (e altro: Dragon Ball, Harlock, etc...)


Taro

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Takahata, io credo, è stato un vero intellettuale e un vero artista. Nelle parole di Anno Hideaki, che commenta Nausicaä insieme all'aiuto-regista Katayama, Takahata può usare solo l'animazione per esprimere la sua visione del mondo, perché la esprime in modo assoluto - altrimenti potrebbe fare solo documentari. Questo "controllo totale" della finzione allegorica a me fa pensare a Wagner. Ma il tanto declamato "realismo" di Takahata è antropologico, ovvero documentaristico, sempre.

Nelle parole di Suzuki: "Miyazaki è un intrattenitore, Takahata un artista."

Nelle parole di Miyazaki, "Alla fine Pakusan non è che nichilismo."

Nelle parole di Ujie Seichirou "in Takahata è rimasto qualcosa del vero bolscevichismo originale".

Unendo i pezzi, credo che Takahata fosse un artista intellettuale socialista assolutista e totalitario, per cui la realizzazione di una visione valesse più di ogni sopravvivenza, da quella delle aziende coinvolte a quella dei lavoratori impiegati - nelle parole di Kondou Yoshifuni "Takahata ha cercato di uccidermi". Poi morì di karoshi (dopo il lavoro su Mononoke, però), e al funerale Miyazaki soggiunse "l'unico ad essere sopravvissuto a Pakusan sono io" -  secondi me il compiaciuto orgoglio della narcisistica vittima volontaria del cannibale.

Edited by Shito
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📝 Durante la 6ª giornata di proiezione al cinema Pom Poko ha incassato 9.103€ al botteghino con 1.357 presenze.

 

Totale attuale: 39.225€ con 5.616 presenze.

 

🔎 Fonte: Cinetel

 

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Oggi ho visto Fiilirulì i vicini Yamada al cinema, in una sala eccellente.

Il film è incredibile. La realizzazione del sogno di Takahata di fare un lungometraggio come i corti di Fredric Back. Incredibile per tecnica, realizzazione, riuscita. E contenuti.

I contenuti.

Forward to the past!

"Stabilità familiare, desiderio del mondo" <- era lo slogan del film, in Giappone.

Guardando il film, mi viene da pensare che la nostra attuale società, dove qualsiasi sogno di serenità familiare è pressoché infranto e dimenticato, non sia che un teatro dei finti lussi episodici che fungono da diversivo dinanzi a una vita reale che non comincia mai.

"Siccome non potrai avere una famiglia vera, ovvero una vita mediocre ma serena, siccome non potrai crescere davvero i tuoi figli come in effetti tu sei probabilmente stato cresciuto (in Giappone e Italia, società familiste), stordisciti con qualche gadget costoso, con della tecnologia inutile, con un viaggio, con qualsiasi cosa che puzzi di lusso, che ti inebrii e che non ti faccia pensare a quello che non hai, e non potrai avere."

Una cosa così. La frivolezza, le frivolezze, che si trascinano nell'incapacità di gioire della serietà. Un eterno giro in giostra, in un modo o nell'altro. E quando la giostra si ferma, raccatta un altro biglietto. Tra un biglietto e l'altro fai qualcosa per poterti comprare il prossimo biglietto.

Ma in questa vita di diversivi, di svaghi, in questa vita così fasulla... quando comincia una vita vera?

Una vita vera, dico, fatta di dolori e noia di cui essere felici, perché sono veri, perché sono l'essere in vita.

Non comincerà. Almeno per i deboli e i pusillanimi come me. I viziati da un'infanzia di agi non solo materiali, ma ancor più emotivi, spirituali.

Per i più giovani ci sarebbero poi i falsi miti di progresso, gli autoinganni generazionali, che ti fanno credere che aver studiato una vita e dover fare l'emigrante (andare a lavorare all'estero è questo: fare l'emigrante) sia una cosa bella invece che una cosa triste. Ti fanno credere che non poter avere radici, che essere "cittadino del mondo" invece che una cosa miserrima se non tragica sia un ideale desiderabile. Ti fanno credere che non avere un'identità sia bello. Ma sono sempre solo tutte bugie, tutti inganni. Gli inganni con cui si tenta di far sopportare l'insopportabile (cit. dal discorso di resa dell'Imperatore).

Dunque torno da ammettere che questo film mi ha sempre spiazzato e messo in crisi. Anzi, in effetti, più che mettermi in crisi, mi ha sempre ferito. Profondamente. E il motivo per cui il film mi ha ferito così profondamente è che anche se mi sembra tutto giusto, anche se dinanzi alla scena finale già solo il modo in cui cammina Nonoko mi fa piangere, la verità è che anche capendo questa lezione ormai è troppo tardi. La società non è più quella ritratta nel film (primi Novanta) e non è neppure quella di quando il film è uscito (ultimi Novanta). Non è più una società per una famiglia media (significa: mediocre) con casa indipendente di proprietà, nucleo monoreddito, due figli e nonna sotto lo stesso tetto.

Altrettanto non è più una società con quel tipo di comunicazione familiare.

Non è che quella società si sia semplicemente "rotta": è che di quella società non restano ormai neppure le macerie.

Quel modello è esistito in Giappone sull'onda lunga del loro "miracolo economico", mentre da noi si è visto di straforo con l'onda lunga del Piano Marshall. Quel modello, per noi, era il sogno che si è costruito con una vita a credito, uno stato a credito, una nazione a credito.

E ci credo che la gente rimpiange gli Ottanta: erano anni in cui una nazione viveva al di sopra delle sue possibilità. Così è molto facile, no?

E invece, ripeto, di tutto quello che potrei rimpiangere, a cui potrei pensare di anelare cambiando la mia vita, non rimangono neppure le macerie.

Indi non si può che fare un sorriso storto, e magari versare una lacrima amara in silenzio.

Edited by Shito
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È un film di Takahata basato su uno yonkoma. Ci sono momenti di dialogo serratissimo, altri silenziosi, poi un lettore di haiku che scolpisce pensieri conclusivi, e intanto musiche e canzoni mirate. C'è di tutto, dove ogni virgola è significativa. Insomma è in film di Talahata.

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La "difficoltà" di questo film, che poi è la difficoltà insita in tutti i film di Takahata Isao, è essenzialmente racchiusa nella da me mai troppo citata osservazione lapidaria di Cristian, quando mi di disse "Miyazaki FA animazione, Takahata USA l'animazione". In effetti è tutto qui. Una questione di mezzo e fine di una comunicazione, di contenuto e forma.

Da piccolo, mi piaceva l'animazione. Da giovane, cominciai a cercare contenuti nelle opere animate. Questo passaggio da infanzia a adolescenza è essenzialmente la storia dell'anime boom: bambini cresciuti col medium infantile "animazione" che non volendosene emancipare anche una volta divenuti ragazzi ne inducono il mondo produttivo a cambiare, proponendo animazione  da contenuti più ammiccanti - in tutti i sensi. Siamo ancora a Ejisonta, a Oshii, a Anno. Di riffa o di raffa, sono tutte produzioni di meta-realtà a scopo escapistico, come quasi ogni forma di finzione e di arte. Il fantastico come alternativa al reale. Un inganno mentale e poi sociale reiterato ad libitum in virtù del benessere diffuso post-bellico.

Il punti qui è quel "quasi".

Cito di nuovo Takahata:

"Ricercare la felicità piuttosto che dimenticare le difficoltà della vita

Ho l'impressione che molte persone, incapaci di accettare lo scarto tra idealità e realtà, provino un'indefinita frustrazione che gli fa perdere il gusto di vivere. Persino degli adulti tendono a immergersi in universi di finzione e magia che gli apparteneva quand'erano bambini. Gli anime li rinchiudono in mondi fantasmagorici. Ma io credo piuttosto che il ruolo dei film animato dovrebbe essere quello di aiutarci a vivere meglio nella realtà. Dovrebbero renderci capaci di trovare la felicità, non di dimenticare le difficoltà della vita. Dovrebbero offrire ai bambini sogni e speranze. Ci dovrebbero essere più anime che, come fanno i manga rivolti agli adulti, aiutano le persone a vivere gioiosamente accettando la realtà. Ho realizzato Fiilirulì i vicini Yamada pensando a questo."

 

Finzione educativa, o finzione sedativa?

L'escapismo è una forma di sedazione, non c'è ragazzo, non c'è airone.

E voi come vivrete?

Edited by Shito
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21 hours ago, Shito said:

C'era un refuso, ho corretto, chiedo scusa.

Il testo che ha quella chiosa chiesta praticamente al lettore, e' un testo propedeutico e orientativo per i giovani giapponesi di allora (fa il paio con le curiose enciclopedie del dopo guerra, fino ad esempio i famigerati Quindici in Italia e altro che non ricordo) 

La chiosa in questione aveva senso e fondamento data la struttura a più episodi del testo che illustrava diversi tipi di "carriere" lavorative, al cui termine si chiedeva al lettore cosa lui volesse fare, non senza dire molto tra le righe di "muoversi"

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Anonime pseudo-recensioni di esperienze cinematografiche takahatiane, parte 2 e ultima.

Stavolta perlomeno i sottotitoli c'erano quasi tutti, salvo che per i titoli di coda, mentre curiosamente gli haiku ogni tanto erano sottotitolati, con stesso testo del doppiaggio, e ogni tanto no. - Persone presenti: ancora 7 di cui gruppetto di tre adulti + bambino, coppia di due tizi sui trentacinque/quaranta alquanto ricettiva e appassionata e sottoscritto.

Sulla forma stavolta non ho nulla da obiettare (quando un film non si fa pesare, ci si abitua a quasi tutto) :thumbsup: e credo di aver avuto idea del contenuto, per quanto il materiale ricco di realistica leggerezza e privo di "epica" non mi sia del tutto congeniale.

(Io avrei aggiunto l'ulteriore "pericolo per la stabilità familiare" che qualcuno si accorga che vivere stanca, puramente e semplicemente, parafrasando un tizio (italiano); e in tal caso si avrà un altro tipo di epica e durante la bonaccia qualcuno tirerà i remi in barca mentre gli altri si ostacolano. Mi dicono però che quel tizio non avesse costruito una famiglia; e ci sono altre generazioni, altri contesti ecc.)

 

In chiusura: perché spendere per i diritti di Moon Mask Rider (o era Gekkō Kamen? bah) quando sarebbe bastato rendere meno specifico un sogno ad occhi aperti? >_<

 

Alla Principessa splendente andateci voi: due Takahata mi bastano. :thumbsup:

Edited by Anonimo (*lui*)
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(per capirci altrimenti dato l'editing non si capisce, e tu cosa farai che c'era prima di "da dove viene la vita", era una semplice domanda, non un memorabili a, un moto o che, una dove nata da un Certamente se è vero che è generato direttamente non dovrebbe essere errato, ma va menzionato direttamente in quale controversia si pone, crea evidenti problemi nel disco)

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Inerentemente a quello che scrive Shuji, di mio non intendevo riferirmi al significato reale (ovvero, nel suo contesto), del titolo originale dell'ultimo film di Miyazaki Hayao, e meno che meno del libro da cui prende le mosse (il mero titolo), quanto usarlo nel suo significato semplice e schietto nel contesto del mio post dove argomentavo sul primato del "principio di realtà" sul "principio di piacere" - la tipica antitesi tra le visioni di T. e M.

Per dire: io sono alto 176cm, se avessi desiderato fare il cestista sarei stato destinato a una vita di frustrazioni. Rousseau diceva che l'uomo libero "fa ciò che vuole, e vuole ciò che può". La realtà discrimina noi tutti in mille modi: nessuno sceglie dove, quando, da chi nascere - in primis. La libertà MASSIMA che ci è data è quella di un pasto al buffet: liberi di scegliere tra quello che c'è nel buffet. Desiderare quello che non c'è è insensato prima ancora che impossibile, no?

Alla fine la "filosofia naturale" di Takahata è praticamente come un culto misterico, tipo ad Eleusi, ovvero un nichilismo positivo e attivo, si direbbe a là Lacan. Ricordo quando alla serata degli Oscar, disse al microfono: "ovviamente un'altra vita non c'è, cioè... c'è per chi crede a Giovanni, ma..." - ricordo che mi commossi alle lacrime.

Mi aspetta Kaguya.

Edited by Shito
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Ricomparsi in classifca

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14 ore fa, Shito ha scritto:

Fa paura. Fa riflettere. Fa pensare.

Per quanto sia un paragone difficile e forse azzardato, lo trovo un film persino più tragico della Tomba delle Lucciole. Ieri l'ho visto di pomeriggio relativamente presto e mi ha lasciato il magone fino a ora

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Il paragone non è azzardato. Mi spiego.

Partendo dall'evidente realtà di fatto per cui tutte e dico tutte le opere di Takahata non fanno che elogiare la vita e l'accettazione, l'accoglimento di quella anche nelle durezze e asperità che può presentare nella sua naturalità e socialità, senza mai rifiutarla o rifuggirla, ci sono solo due sue opere che si chiudono con la tragica e sofferta morte del protagonista che soccombe: Hotaru no Haka e Kaguya-Hime no Monogatari.

Casualmente, sono proprio il primo e l'ultimo film che il regista realizzò per lo STUDIO GHIBLI. 

Quanto al tuo personale giudizio di valore di trovare, ossia ritenere, il secondo ancora più tragico del primo, personalmente concordo.

Indi direi che il tuo paragone è obiettivamente sensato, il tuo giudizio è da me soggettivamente condiviso, e su questo proverò quindi a elaborare in seguito.

Edited by Shito
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