Alex Halman Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 (edited) 7 minuti fa, Shito ha scritto: Air, quando Asuka è nell'UnitàDue dentro al lago sotteraneo del GeoGront, prima di "risvegliarsi" ritrovando l'anima della madre dentro al "suo" Eva. A naso, direi una ventina, ventidue minuti circa in Air (ovvero: 25'). Ok, ovvio che sembri strano se si pensa a un'Asuka quattordicenne ma se l'idea è quella di farla regredire come una bambina piccola allora fila. Anche se la nuova voce di Asuka non mi piace e la recitazione è scarsina Edited June 23, 2019 by Alex Halman Link to comment Share on other sites More sharing options...
Valerio.85 Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 6 minuti fa, Shito ha scritto: Di quella frase, però, si è già detto in dettaglio. E' un mantra infantile che Asuka ripete quando è ancora in stato pseudo-catatonico e regressivo (posizione fetale). E' quello che diceva quando, da piccola, la madre voleva strangolare anche lei. (infatit se ne sentono le voci mortifere in sottofondo: isshoni shinde choudai!) Soprattutto, deve "finire" con la particella di negazione, perché è quella che si ripete e che spicca nell'urlo finale. ^^; E un "non voglio!" In finale, sarebbe stato cosí inglorioso? Link to comment Share on other sites More sharing options...
Alex Halman Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 4 minuti fa, Shito ha scritto: Sono personalmente convinto che Sara Labidi sia la doppiatrice italiana ideale per Asuka. Giuro che quando l'ho reincontrata, il doppiaggio era concluso, mi sono personalmente scusato per averla suggerita e caldeggiata per una parte tanto tragica. Datemi del matto fissato, ma Sara è giovane, e l'episodio 22 è l'episodio 22. Non sono tanto convinto su questo Link to comment Share on other sites More sharing options...
Shito Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 (edited) Sì, in quella scena è ancora in stato catatonico. Non si è ancora "risvegliata". Sente le voci, letteralmente, ed è in posizione fetale. La cosa più tragica è che Asuka *si sente in colpa*, in ultimo, per non essere morta con la madre, per averla "tradita". C'è quella frase: "sì, morirò insieme a te, mamma, ma tu non smettere di essere la mia mamma!" che mi raggela ogni volta. Ci sono davvero fasi dello sviluppo infantile in cui la madre, la figura materna, è l'oggetto di catessi del fanciullo quasi al 100%. Asuka si è spezzata lì. ;_; Edited June 23, 2019 by Shito 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
veldom Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 6 minuti fa, Alex Halman ha scritto: Ok, ovvio che sembri strano se si pensa a un'Asuka quattordicenne ma se l'idea è quella di farla regredire come una bambina piccola allora fila. Anche se la nuova voce di Asuka non mi piace e la recitazione è scarsina Quindi l'hai visto? Posso avere una risposta onesta? Ti ha emozionato come il vecchio adattamento? (non mi vergogno a dire che a me fece piangere) Link to comment Share on other sites More sharing options...
Valerio.85 Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 5 minuti fa, Shito ha scritto: Sì, in quella scena è ancora in stato catatonico. Non si è ancora "risvegliata". Sente le voci, letteralmente, ed è in posizione fetale. La cosa più tragica è che Asuka *si sente in colpa*, in ultimo, per non essere morta con la madre, per averla "tradita". C'è quella frase: "sì, morirò insieme a te, mamma, ma tu non smettere di essere la mia mamma!" che mi raggela ogni volta. Ci sono davvero fasi dello sviluppo infantile in cui la madre, la figura materna, è l'oggetto di catessi del fanciullo quasi al 100%. Asuka si è spezzata lì. ;_; Si ok. Ma ho pragaonato le due versioni, entrambe curate da te. E scusami, ma la prima versione vince a mani basse. Link to comment Share on other sites More sharing options...
Shito Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 Non di Air. Di Air non avevo mai scritto i dialoghi io. Dell'episodio22 invece sì. Parlando di Asuka. :-) Link to comment Share on other sites More sharing options...
Shuji Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 48 minuti fa, il Vì ha scritto: (fuggo!) SBAM 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Popular Post Yggdrasil Posted June 23, 2019 Popular Post Share Posted June 23, 2019 6 ore fa, Shito ha scritto: Novità: è la frase di un ragazzino GIAPPONESE, che si comporta, pensa e parla da ragazzino GIAPPONESE. La "senti" in italiano solo per il "trucco" della traduzione, ma *dovresti sapere* che quelli DENTRO la realtà narrativa (dentro la quarta parete) sono giapponesi che dicono cose di giapponesi, anche se tu li senti IN italiano per lo "schermo magico" del doppiaggio. 🙂 6 ore fa, Shito ha scritto: Nessun peccato. Se tu credi che "adattamento italiano" significhi "far parlare dei giapponesi come se fossero italiani", beh io non lo credo. Io credo che ci sia differenza tra parlare DA italiano e parlare IN italiano. E credo che un adattamento di un'opera straniera debba ragionare sulla seconda ottic, ovvero mettere la lingua d'arrivo AL SERVIZIO del contenuto di quella d'origine. Inoltre, no, tu non DEVI niente. Non ti obbliga nessuno. Tu PUOI capire, se VUOI. Tu puoi fare quello che vuoi. Andiamo, non si può ragionare così. Altrimenti la traduzione migliore sarebbe non tradurre affatto, e l'adattamento migliore una cascata di calchi e di prestiti linguistici. 11 3 Link to comment Share on other sites More sharing options...
keiske Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 Prima la notte dormire dovete!! 3 pagine?? Shito, se voglio cogliere ogni sfumatura metto l’audio originale coi sub, se voglio fruire dell’opera tradotta e adattata (ma non più l’originale) metto l’audio italiano. E so che sto perdendo l’originale, lo so e lo accetto. Lo sai che a livello normativo e di diritto d’autore opera originale e opera tradotta sono due cose distinte e il diritto d’autore decorre sull’opera tradotta dalla morte del traduttore? Questo per rendere l’idea che l’opera tradotta NON è più l’opera originale. Chi cede i diritti di traduzione non ha (di norma) controllo autoriale sulla traduzione, tranne per elementi particolari e ovviamente per la resa finale (se traduci Rambo in Bambi è un problema). Quindi la tua traduzione pedissequamente fedele all’originale ti trasforma da autore a scribacchino, da artista ad amanuense. Peccato perché potresti mettere te stesso nella traduzione/adattamento; nessuno dei committenti te lo vieta e invece ti fai da parte sacrificando l’opera di traduzione sull’altare dell’opera originale. Tra l’altro all’opera originale di st’aderenza pedascule non gliene puó frega’ de meno, mentre l’opera derivata ha una resa quasi nulla. 1 4 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
il Vì Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 8 hours ago, Shito said: Tu stai reinventando i dialoghi di un'opera altrui a tuo gusto. magari prima o poi ci arrivi a vedere cos'hai fatto finora. 🎐 4 4 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Genzai Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 14 minuti fa, Matteo Mascellani ha scritto: Quindi la tua traduzione pedissequamente fedele all’originale ti trasforma da autore a scribacchino, da artista ad amanuense. Peccato perché potresti mettere te stesso nella traduzione/adattamento; nessuno dei committenti te lo vieta e invece ti fai da parte sacrificando l’opera di traduzione sull’altare dell’opera originale. Scusa Matteo, ma se il traduttore ha velleità autoriali, "vuol fare l'artista e non l'amanuense", perché non scrive un'opera tutta sua, invece di metter mano sulle opere altrui? Siamo tutti - più o meno - d'accordo sul fatto che la mano del traduttore/adattatore debba essere invisibile o quasi, e spesso e volentieri si critica Shito perché nelle sue opere i personaggi parlano "in cannarsese". Per tali motivi, adesso, non capisco proprio questo tuo invitare Gualtiero a "non mettersi da parte" quando adatta un dialogo. 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Jupiter00 Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 (edited) 11 ore fa, Shito ha scritto: Novità: è la frase di un ragazzino GIAPPONESE, che si comporta, pensa e parla da ragazzino GIAPPONESE. La "senti" in italiano solo per il "trucco" della traduzione, ma *dovresti sapere* che quelli DENTRO la realtà narrativa (dentro la quarta parete) sono giapponesi che dicono cose di giapponesi, anche se tu li senti IN italiano per lo "schermo magico" del doppiaggio. 🙂 Ed ecco perché molte cose mi lasciano perplesso: ho una visione diversa proprio di cosa sia il lavoro di un adattatore! Il metodo è condivisibile, ma la fedeltà non deve essere il fine primo di un adattatore. È stato scritto più volte: questo tentativo di riproduzione quasi parola per parola della sintassi e della grammatica Giapponese in certe istanze stravolge di più il significato di quanto farebbe una traduzione più libera. Questo "suonare Giapponese" uccide il feeling (inglesismo che trovo particolarmente azzeccato perché si lega alla diversa sensibilità del pubblico). Secondo me il lavoro di un adattatore sarebbe far provare al pubblico italiano la stessa cosa che prova un giapponese a fruire dell'opera. Non una "conversione", poco più che una traduzione jap-ita, ma un adattamento che tiene conto non solo della cultura, lessico e organicità dell'opera di partenza, ma anche di quella di arrivo. Perciò non potrò mai essere d'accordo con il lavoro nel suo insieme, anche se apprezzo piccole precisazioni e finezze. Edited June 23, 2019 by Jupiter00 2 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Alex Halman Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 (edited) 9 ore fa, veldom ha scritto: Quindi l'hai visto? Posso avere una risposta onesta? Ti ha emozionato come il vecchio adattamento? (non mi vergogno a dire che a me fece piangere) EoE in italiano non l'ho mai guardato per intero manco prima figurati adesso, mi era bastata la serie, avevo visto uno dei primissimi esempi di fansub di quel film (un realmedia formato francobollo tirato giù col 56K ) Comunque l'emozione sta a zero il punto è se deve essere un'Asuka che dà l'impressione di fare i capricci come una bimba allora la nuova versione raggiunge meglio allo scopo Ah, Eva non mi emoziona più da un paio di decenni... barattolo di merda l'ho scritto più volte Edited June 23, 2019 by Alex Halman 2 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Popular Post Thedanish Posted June 23, 2019 Popular Post Share Posted June 23, 2019 9 ore fa, bospie ha scritto: Ciao a tutti, sono nuovo su questo forum, vi prego di non linciarmi se non seguo a dovere l'etichetta. Mi sono iscritto per seguire la discussione e ho deciso di postare anch'io dopo aver letto commenti indegni di gente che insulta il lavoro di Cannarsi, senza neppure portare argomentazioni a favore della propria idea. Premetto che non sono un fan degli adattamenti di Cannarsi, ma non posso che ammirare l'impegno e l'idea che c'è dietro al suo lavoro: il non basarsi su ciò che è "pratica comune", ma anzi perseguire il vero significato dell'opera originale. Questo porta a un adattamento che fatico a digerire perché trovo troppo analitico? Sì. Tuttavia sono consapevole che è un problema mio, legato all'essere abituato a una traduzione scorretta che tende troppo a "cullare" lo spettatore e a far fruire l'opera più "di pancia" che "di testa". 最低 significa "il peggiore". Ovviamente un'espressione come "faccio schifo" è più comune e di più forte impatto emotivo per lo spettatore, ma fa svanire tutta l'essenza giapponese della frase. Ogni opera nasce in un contesto culturale ben definito, stravolgere dialoghi, non rispettando il significato esatto delle parole, porta quell'opera più lontana dal posto in cui è nata; per cui, a seguire l'adattamento di Cannarsi, si può sentire il vero modo che i giapponesi (o, almeno, i personaggi della serie) hanno di parlare, questo non piacerà a molti, ma è segno di un lavoro "etico" che tenta anche di rieducare gli appassionati verso un nuovo modo di godere l'opera. In definitiva, Pensate che sia più importante l'immediatezza emotiva, a scapito della correttezza formale? Comprate i DVD. Vi interessa la versione più accurata (ma che richiede anche più impegno nella visione)? Abbonatevi a Netflix. Volete perseguire il Vero? Guardate la versione in lingua originale. Ma per favore, non rompete i maroni. Eva è un'opera talmente bella che si potrebbe apprezzare anche col volume a zero, chi è veramente interessato all'opera sarà in grado di coglierne i pregi e di discuterne, a prescindere dalla piattaforma scelta per la visione. Mi appoggio al commento di Bospie per puntualizzare alcuni aspetti di metodo che – a malincuore – continuano a essere sottovalutati, e che di fatto determinano, a mio parere, l'intreccio complesso della questione. Procediamo con ordine. Bospie scrive che di Cannarsi apprezza «il non basarsi su ciò che è "pratica comune", ma anzi perseguire il vero significato dell'opera originale». Questo secondo lui porterebbe a un adattamento troppo "analitico"; il termine non è corretto, l'aggettivo giusto è "artificioso" e cercherò di spiegare il perché proseguendo. Bospie, ancora, scrive: «Ogni opera nasce in un contesto culturale ben definito, stravolgere dialoghi, non rispettando il significato esatto delle parole, porta quell'opera più lontana dal posto in cui è nata». Quel che sfugge a Gualtiero e a Bospie, secondo me, è che qualsiasi opera di lettura e interpretazione di un testo è già di per sé un processo di traduzione; nel caso di un testo straniero, la sua resa in altra lingua da quella natia per definizione corrisponde a una mistificazione obbligata atta a rendere intellegibile quel testo alla comunità sociolinguistica destinataria della traduzione. Per sua natura, il testo tradotto è un'alterità imprescindibile. Trovo ingenuo che qualcuno possa pensare, attraverso la traduzione di un'opera, di riuscire a cogliere quell'essenza primigenia di un testo letterario o di un discorso che non può che scaturire dalla corrispondenza contestuale tra significante e significato. È una stupidità, perdonatemi. Allo stesso modo, l'idea che seguendo «l'adattamento di Cannarsi, si possa sentire il vero modo che i giapponesi (o, almeno, i personaggi della serie) hanno di parlare» è una falsità metodologica e linguistica che va scongiurata senza se e senza ma. Il repertorio della lingua e il contesto socioculturale di una comunità non può mai trovare un'effettiva corrispondenza di codici e referenti linguistici che ne renda possibile l'equiparazione o la comparazione scientifica; e questa non è un'opinione, è un dato osservabile. Chiarirò ulteriormente la mia posizione e miei interrogativi, dunque. Gualtiero, più che adottare una metodologia precisa, sembra essersi affrancato da qualsiasi prospettiva teorica utile a orientare l'opera di traduzione e adattamento di un lavoro. Nel suo lavoro intravedo i limiti di una persona che, forse non preparata a sufficienza, persegue un obiettivo ingenuo, in maniera del tutto arbitraria e poco rispettosa nei confronti della comunità linguistica dei fruitori finali. Entro nel dettaglio, facendo un esempio di più immediata chiarezza: la lingua e la comunicazione si fondano sull'interazione continua, organica ed emergente tra due livelli. Primo livello: l'apparato significante – I suoni, le parole, le strutture verbali, le forme del discorso, con cui ci riferiamo a un oggetto della realtà, di cui vogliamo richiamarne l'essenza o il significato (la semplificazione è voluta). Secondo livello: l'eterogeneità dei significati possibili – l'essenza che quel dato suono, quella data parola, struttura verbale o forma del discorso, vuol richiamare rendendola intellegibile e negoziabile all'interno di una comunità specifica di parlanti (ho semplificato di nuovo) Ora, nell'approcciare la traduzione di un testo straniero, cosa è importante avvicinare, connettere e far dialogare tra loro? Le strutture dell'apparato significante o l'eterogeneità dei significati possibili? Le forme della lingua o i significati richiamati? Volendo creare un prodotto artificiale che vuole ricalcare, quasi fosse un esercizio di comparazione strutturale, le figure morfologiche e sintattiche di una lingua straniera, ignorando (perché magari non necessaria) il possibile destinatario della traduzione... beh, la prima opzione, per quanto curiosa e dubbia, andrà benissimo. La seconda opzione, invece, permette di lavorare nell'ottica di una vera e propria negoziazione di senso più estesa rispetto al contenuto di un'opera, che innegabilmente è stata scritta in un preciso momento storico, in specifiche condizioni socio-culturali, per un determinato pubblico di riferimento – fattori che non possono semplicemente essere tralasciati o ridotti semplicisticamente a corollario. In parole povere: un ragazzo italiano di 27 anni nel 2019 non potrà mai attivare lo stesso processo di significazione che ha esperito uno giapponese di 16 nel 1997. Figuriamoci se la lingua in questione è diversa. Un ultimo esempio. In un bar di Brisbane in Australia, un amico a un certo punto disse: «Geez, I need a flame-cutter...». Ebbene, non capii subito a cosa si stesse riferendo, ma poi notai che al bancone non fece altro che ordinare una birra. Mi spiegò ridendo che, in gergo, quel termine indicava il bisogno di una birra ghiacchiata, in grado di spegnere il "fuoco" che ardeva nella gola di un povero assetato. Immaginiamo di trovare la stessa frase nel copione di un film.Daniel: «Geez, I need a flame-cutter...». Matthew: «I got you man, come with me!».PRIMO APPROCCIO ALLA TRADUZIONEDaniel: «Gesù, necessito di un taglia-fiamma (?)». Matthew: «Ti possiedo uomo, vieni con me!». Cosa ho fatto? Equiparazione dell'apparato significante, resa letterale. Cosa non ho fatto? Studio dei referenti di significato, studio del contesto culturale, studio dei singoli parlanti, studio dei registri linguistici di destinazione adottabili, studio dei codici linguistici di destinazione adottabili.SECONDO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Accidenti, ho bisogno di una birra...». Matthew: «Ti capisco, amico. Vieni con me!». Cosa ho fatto? Abbandonato la resa letterale e l'equiparazione dell'apparato significante. Inoltre ho studiato i referenti di significato e li ho resi intellegibili alla comunità di parlanti più estesa a cui può essere destinata la traduzione.TERZO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Madonna, c'ho bisogno di una birra ghiacciata...». Matthew: «Ci penso io, seguimi!». Cosa ho fatto? Ho studiato il contesto culturale, ho scoperto che cosa realmente vuol dire "flame-cutter" e a quale dominio d'uso appartiene. Inoltre ho approfondito lo studio dei parlanti: sono due ragazzi di 30 anni, adottano un registro medio, colloquiale, spesso non sorvegliato ma raramente volgare. Ho infine pensato a quale registro dell'italiano potessi fare affidamento e quale codice. Spero sia chiaro quali sono gli interrogativi stringenti che ho rivolto a Gualtiero – senza che mi aspetti per forza di cose una sua risposta. E mi auguro sia chiara qual è la postura da cui muovo le mie osservazioni. 5 7 9 4 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Roger Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 16 minuti fa, Thedanish ha scritto: Mi appoggio al commento di Bospie per puntualizzare alcuni aspetti di metodo che – a malincuore – continuano a essere sottovalutati, e che di fatto determinano, a mio parere, l'intreccio complesso della questione. Procediamo con ordine. Bospie scrive che di Cannarsi apprezza «il non basarsi su ciò che è "pratica comune", ma anzi perseguire il vero significato dell'opera originale». Questo secondo lui porterebbe a un adattamento troppo "analitico"; il termine non è corretto, l'aggettivo giusto è "artificioso" e cercherò di spiegare il perché proseguendo. Bospie, ancora, scrive: «Ogni opera nasce in un contesto culturale ben definito, stravolgere dialoghi, non rispettando il significato esatto delle parole, porta quell'opera più lontana dal posto in cui è nata». Quel che sfugge a Gualtiero e a Bospie, secondo me, è che qualsiasi opera di lettura e interpretazione di un testo è già di per sé un processo di traduzione; nel caso di un testo straniero, la sua resa in altra lingua da quella natia per definizione corrisponde a una mistificazione obbligata atta a rendere intellegibile quel testo alla comunità sociolinguistica destinataria della traduzione. Per sua natura, il testo tradotto è un'alterità imprescindibile. Trovo ingenuo che qualcuno possa pensare, attraverso la traduzione di un'opera, di riuscire a cogliere quell'essenza primigenia di un testo letterario o di un discorso che non può che scaturire dalla corrispondenza contestuale tra significante e significato. È una stupidità, perdonatemi. Allo stesso modo, l'idea che seguendo «l'adattamento di Cannarsi, si possa sentire il vero modo che i giapponesi (o, almeno, i personaggi della serie) hanno di parlare» è una falsità metodologica e linguistica che va scongiurata senza se e senza ma. Il repertorio della lingua e il contesto socioculturale di una comunità non può mai trovare un'effettiva corrispondenza di codici e referenti linguistici che ne renda possibile l'equiparazione o la comparazione scientifica; e questa non è un'opinione, è un dato osservabile. Chiarirò ulteriormente la mia posizione e miei interrogativi, dunque. Gualtiero, più che adottare una metodologia precisa, sembra essersi affrancato da qualsiasi prospettiva teorica utile a orientare l'opera di traduzione e adattamento di un lavoro. Nel suo lavoro intravedo i limiti di una persona che, forse non preparata a sufficienza, persegue un obiettivo ingenuo, in maniera del tutto arbitraria e poco rispettosa nei confronti della comunità linguistica dei fruitori finali. Entro nel dettaglio, facendo un esempio di più immediata chiarezza: la lingua e la comunicazione si fondano sull'interazione continua, organica ed emergente tra due livelli. Primo livello: l'apparato significante – I suoni, le parole, le strutture verbali, le forme del discorso, con cui ci riferiamo a un oggetto della realtà, di cui vogliamo richiamarne l'essenza o il significato (la semplificazione è voluta). Secondo livello: l'eterogeneità dei significati possibili – l'essenza che quel dato suono, quella data parola, struttura verbale o forma del discorso, vuol richiamare rendendola intellegibile e negoziabile all'interno di una comunità specifica di parlanti (ho semplificato di nuovo) Ora, nell'approcciare la traduzione di un testo straniero, cosa è importante avvicinare, connettere e far dialogare tra loro? Le strutture dell'apparato significante o l'eterogeneità dei significati possibili? Le forme della lingua o i significati richiamati? Volendo creare un prodotto artificiale che vuole ricalcare, quasi fosse un esercizio di comparazione strutturale, le figure morfologiche e sintattiche di una lingua straniera, ignorando (perché magari non necessaria) il possibile destinatario della traduzione... beh, la prima opzione, per quanto curiosa e dubbia, andrà benissimo. La seconda opzione, invece, permette di lavorare nell'ottica di una vera e propria negoziazione di senso più estesa rispetto al contenuto di un'opera, che innegabilmente è stata scritta in un preciso momento storico, in specifiche condizioni socio-culturali, per un determinato pubblico di riferimento – fattori che non possono semplicemente essere tralasciati o ridotti semplicisticamente a corollario. In parole povere: un ragazzo italiano di 27 anni nel 2019 non potrà mai attivare lo stesso processo di significazione che ha esperito uno giapponese di 16 nel 1997. Figuriamoci se la lingua in questione è diversa. Un ultimo esempio. In un bar di Brisbane in Australia, un amico a un certo punto disse: «Geez, I need a flame-cutter...». Ebbene, non capii subito a cosa si stesse riferendo, ma poi notai che al bancone non fece altro che ordinare una birra. Mi spiegò ridendo che, in gergo, quel termine indicava il bisogno di una birra ghiacchiata, in grado di spegnere il "fuoco" che ardeva nella gola di un povero assetato. Immaginiamo di trovare la stessa frase nel copione di un film.Daniel: «Geez, I need a flame-cutter...». Matthew: «I got you man, come with me!».PRIMO APPROCCIO ALLA TRADUZIONEDaniel: «Gesù, necessito di un taglia-fiamma (?)». Matthew: «Ti possiedo uomo, vieni con me!». Cosa ho fatto? Equiparazione dell'apparato significante, resa letterale. Cosa non ho fatto? Studio dei referenti di significato, studio del contesto culturale, studio dei singoli parlanti, studio dei registri linguistici di destinazione adottabili, studio dei codici linguistici di destinazione adottabili.SECONDO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Accidenti, ho bisogno di una birra...». Matthew: «Ti capisco, amico. Vieni con me!». Cosa ho fatto? Abbandonato la resa letterale e l'equiparazione dell'apparato significante. Inoltre ho studiato i referenti di significato e li ho resi intellegibili alla comunità di parlanti più estesa a cui può essere destinata la traduzione.TERZO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Madonna, c'ho bisogno di una birra ghiacciata...». Matthew: «Ci penso io, seguimi!». Cosa ho fatto? Ho studiato il contesto culturale, ho scoperto che cosa realmente vuol dire "flame-cutter" e a quale dominio d'uso appartiene. Inoltre ho approfondito lo studio dei parlanti: sono due ragazzi di 30 anni, adottano un registro medio, colloquiale, spesso non sorvegliato ma raramente volgare. Ho infine pensato a quale registro dell'italiano potessi fare affidamento e quale codice. Spero sia chiaro quali sono gli interrogativi stringenti che ho rivolto a Gualtiero – senza che mi aspetti per forza di cose una sua risposta. E mi auguro sia chiara qual è la postura da cui muovo le mie osservazioni. da incorniciare. 2 1 1 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
za1k0 Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 Salve a tutti. Sono anch'io nuovo, anch'io arrivato qui per il "fenomeno Cannarsi". Ho perso l'intera giornata di ieri per leggere tutto il thread da pagina 18 in poi, cioè da quando è uscito Eva su Netflix. Quello che penso è già stato ampiamente discusso da altri, per cui eviterò per quanto possibile di ripetere cose già dette. È stato detto a più riprese che la filosofia di Cannarsi per quanto riguarda gli adattamenti è particolare e magari non condivisibile, ed ognuno ha diritto a pensarla come vuole in merito. Ebbene, io credo che il suo lavoro sia da prendere così com'è e buttarlo nel sacco dell'umido. Usa un linguaggio ampolloso, arzigogolato e spesso poco adatto alle situazioni rappresentate; nonostante le sue intenzioni siano le migliori possibili, va tutto in caciara nel momento in cui i doppiatori devono rappresentare il copione, con risultati che indecenti è dir poco. Vedasi l'esempio di Kaji, ormai ampiamente discusso: "però quanto a te, quanto a quel che non puoi fare che tu, per te qualcosa da fare potrebbe esserci". Se avessi visto e ascoltato quella scena, letta tutta d'un fiato così com'è stata rappresentata; e senza aver prima letto la spiegazione di Cannarsi sulle pause in mezzo al discorso, previste da lui ma non pervenute nel risultato finale; allora credo avrei avuto seri problemi a capire cosa Kaji stesse dicendo, e avrei avuto bisogno di riascoltare la scena più di un paio di volte. Per la miseria, quando ho ascoltato la clip postata qualche pagina più indietro mi è venuta in mente questa cosa. È ridicolo, e sono davvero indeciso se ridere o piangere. La colpa non è sua, colpa del direttore del doppiaggio che non ha fatto rispettare le pause. Vabbè, andiamo avanti. Altro esempio su cui si è discusso è il linguaggio gonfio e vecchio dei militari. Mi dite che "anche nell'originale parlano così". Ora, io di giapponese ne capisco meno di fisica quantistica e non ho assolutamente modo di verificare che quanto detto sia vero, e non mi pare nemmeno che qualcuno abbia smentito o confermato questa affermazione. C'è qualcuno fra di noi che il giapponese lo capisce e che possa verificare? Perché perdonate la diffidenza, ma mi riesce davvero difficile credere che i soldati parlino così nell'originale. Se qualcuno confermerà ne prenderò atto. Ma per l'amor di dio, è mai possibile dico io che tutto quello che si trova ad adattare questo personaggio sia così esagerato, gonfio e indigesto di suo? O forse è questo signore a metterci la sua firma personalissima e rende complicato ciò che complicato non è? Ripeto, non mastico minimamente il giapponese per cui non ho modo di verificare niente di quello che è stato detto, ma tutto ciò mi sembra davvero ridicolo. Il problema di Cannarsi non è che traduce fedelmente, il problema di Cannarsi è che fa giri di parole assurdi e usa modi di dire vecchi, che non usa nessuno e che rendono i discorsi innaturali e inascoltabili. Che sia un'opera dello studio Ghibli, che sia NGE o qualsiasi altra cosa, se la adatta Gualtiero Cannarsi te ne accorgi al più dopo le prime tre battute, a dimostrazione del fatto che è un modo di adattare tutto suo e che non ha niente a che fare con l'originale, altro che traduzione fedele. Poi ripeto, se c'è qualcuno (meglio ancora se più di uno) qua che di giapponese ne capisce e che effettivamente può confermare che "è proprio così, nonostante siano opere di persone diverse i film ghibli e NGE utilizzano gli stessi registri linguistici e non è un modo di fare di Cannarsi, ma è soltanto un caso il fatto che lui si sia trovato ad adattare questi lavori", allora mi metterò l'anima in pace. Ma, scusate di nuovo la diffidenza, dubito fortemente che ciò accadrà. Mi si risponde "magari avrà un modo di lavorare tutto suo, ma la buona volontà c'è e preferisco di gran lunga un adattamento fedele e in alcuni punti 'poco orecchiabile', rispetto a un adattamento che stravolge tutto e fa perdere il senso completo dell'opera". Io dico che fanno schifo uguale, seppur per motivi diversi. Un'opera adattata male e che stravolge il senso di tutto fa schifo per ovvi motivi. Gli adattamenti di Cannarsi sono degli scempi perché sono stranianti e non riesco a concentrarmi sull'opera perché la mia attenzione è rivolta a cercare di non ridere mentre ascolto dialoghi che non si sa da quale tombino siano usciti e cercare di decifrare i passaggi più ostici. Per cui, quale adattamento fa più schifo fra i due? Fanno schifo uguale. "ma quali dialoghi stranianti? Di cosa parli? Porta degli esempi concreti!!" gli esempi sono stati ampiamente portati da altri e mi sono già dilungato più di quanto avrei voluto, se uno vuole altri esempi gli basta aprire uno qualsiasi degli episodi, scegliere un minuto a caso e ascoltare. Di esempi ne troverà a bizzeffe. Se poi mi si viene a dire, come qualcuno ha effettivamente fatto, "io ho ascoltato e non ci ho trovato niente di strano", boh io dico fatevi vedere da uno bravo perché non riesco veramente a capire come facciano questi dialoghi a non suonarvi strani. Del resto, ha già spiegato tutto Cannarsi quando ha detto quanto segue: "Del pubblico non so, ma onestamente non mi interessa neppure. Nel senso che quello che a me interessa è la sensatezza in quanto tale, a prescindere da ogni captazione di benevolenza. Non è mia intenzione far piacere Miyazaki o i suoi film a nessuno. La mia intenzione è proporli ai miei connazionali nella maniera più vicina possibile a quello che erano in originale, ovvero quello che sono. In questo modo, ciascuno potrà decidere se gli piacciono o meno, ma deciderlo sulla sostanza del film, non su una sua alterazione. Tale per me è l'unica sensatezza di ogni 'traduzione' di opera altrui (in ogni sua forma e ambito), e la sensatezza è una cosa che deve essere per sé stessa, un imperativo categorico." Del fatto che il pubblico capisca o meno quello che viene detto, del fatto che i dialoghi sembrino veri o innaturali, di tutto questo a Cannarsi non frega un beneamato cazzo, per cui è inutile stare a discutere su questo punto. C'è gente che è d'accordo, gente che concorda in parte, gente che dice "Cannarsi vai a vendere calzini". Io dico che quello che dice è giustissimo, ma bisogna poi lavorare sull'adattamento e renderlo fluido, scorrevole e in una maniera che non risulti ridicola, cosa che si può benissimo fare senza alterare in maniera significativa il significato e il messaggio originali che gli sono tanto cari. Agli adattamenti però c'è lui e non io, per cui ci dobbiamo tenere queste che secondo me sono mostruosità. Non voglio discutere oltre su questo punto perché credo se ne sia già discusso troppo, ognuno ha detto la sua e ognuno rimarrà della sua idea. Tutto quello che ho detto fino ad ora è già stato detto da altri, magari in maniera diversa. Ho solo voluto ribadire come la penso. Quello che mi preme far presente a tutti è un'altra cosa. A più riprese è stato fatto notare come, nonostante tutto, sia da lodare la disponibilità di Cannarsi a prestarsi al dialogo con tutti, nonostante le innumerevoli critiche che gli vengono mosse e sempre con educazione e garbo. Ebbene, io voglio far notare a tutti come invece quest'uomo sia di una disonestà intellettuale indicibile, arrogante e borioso. In 30 pagine di discussione si è dimostrato aperto al confronto solo su quei punti su cui si sente forte e sicuro, su cui ha argomenti da presentare che secondo lui sono decisivi, ignorando bellamente tutte le domande scomode che non gli chiedono solo "perché in questo particolare caso hai usato queste esatte parole?", ma vanno più a fondo, interrogandosi su tutto il suo modo di operare e di adattare. Quando poi è stato smontato su ogni fronte su una particolare frase da il Vì (e su cui si era preso la briga di discutere perché era sicuro di avere ragione), ha ammesso "sì, hai ragione tu PERÒ bla bla bla bla QUINDI ho ragione io". Da quello che ho avuto modo di leggere, Gualtiero Cannarsi è una persona viscida, disonesta, presuntuosa e superba, ancor prima che incapace e incompetente. Non mi sono rivolto a lui in tutto il post perché non è mia intenzione instaurare un dialogo con questa persona, cosciente del fatto che sarebbe completamente inutile: ho visto come si è comportato con altri, e se si degnasse di rispondermi lo farebbe solo sui punti che lui reputa degni di risposta, ignorando il resto, e distorcendo il discorso. E poi ci sono altre persone che meriterebbero risposta prima di me, come Thedanish che scrive post bellissimi e illuminanti. Ma sono sicuro che se gli rispondesse farebbe la stessa cosa, ignorare quello che non gli garba, rispondere a quello che gli pare e deviare il discorso. Per tutto quello che ho detto finora, voglio concludere riprendendo le parole di qualcuno: Gualtiero, fai un favore a tutti quanti e vai a vendere calzini. 2 1 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
il Vì Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 5 minutes ago, za1k0 said: Salve a tutti. Sono anch'io nuovo, anch'io arrivato qui per il "fenomeno Cannarsi". Ho perso l'intera giornata di ieri per leggere tutto il thread da pagina 18 in poi, cioè da quando è uscito Eva su Netflix. Quello che penso è già stato ampiamente discusso da altri, per cui eviterò per quanto possibile di ripetere cose già dette. È stato detto a più riprese che la filosofia di Cannarsi per quanto riguarda gli adattamenti è particolare e magari non condivisibile, ed ognuno ha diritto a pensarla come vuole in merito. Ebbene, io credo che il suo lavoro sia da prendere così com'è e buttarlo nel sacco dell'umido. Usa un linguaggio ampolloso, arzigogolato e spesso poco adatto alle situazioni rappresentate; nonostante le sue intenzioni siano le migliori possibili, va tutto in caciara nel momento in cui i doppiatori devono rappresentare il copione, con risultati che indecenti è dir poco. Vedasi l'esempio di Kaji, ormai ampiamente discusso: "però quanto a te, quanto a quel che non puoi fare che tu, per te qualcosa da fare potrebbe esserci". Se avessi visto e ascoltato quella scena, letta tutta d'un fiato così com'è stata rappresentata; e senza aver prima letto la spiegazione di Cannarsi sulle pause in mezzo al discorso, previste da lui ma non pervenute nel risultato finale; allora credo avrei avuto seri problemi a capire cosa Kaji stesse dicendo, e avrei avuto bisogno di riascoltare la scena più di un paio di volte. Per la miseria, quando ho ascoltato la clip postata qualche pagina più indietro mi è venuta in mente questa cosa. È ridicolo, e sono davvero indeciso se ridere o piangere. La colpa non è sua, colpa del direttore del doppiaggio che non ha fatto rispettare le pause. Vabbè, andiamo avanti. Altro esempio su cui si è discusso è il linguaggio gonfio e vecchio dei militari. Mi dite che "anche nell'originale parlano così". Ora, io di giapponese ne capisco meno di fisica quantistica e non ho assolutamente modo di verificare che quanto detto sia vero, e non mi pare nemmeno che qualcuno abbia smentito o confermato questa affermazione. C'è qualcuno fra di noi che il giapponese lo capisce e che possa verificare? Perché perdonate la diffidenza, ma mi riesce davvero difficile credere che i soldati parlino così nell'originale. Se qualcuno confermerà ne prenderò atto. Ma per l'amor di dio, è mai possibile dico io che tutto quello che si trova ad adattare questo personaggio sia così esagerato, gonfio e indigesto di suo? O forse è questo signore a metterci la sua firma personalissima e rende complicato ciò che complicato non è? Ripeto, non mastico minimamente il giapponese per cui non ho modo di verificare niente di quello che è stato detto, ma tutto ciò mi sembra davvero ridicolo. Il problema di Cannarsi non è che traduce fedelmente, il problema di Cannarsi è che fa giri di parole assurdi e usa modi di dire vecchi, che non usa nessuno e che rendono i discorsi innaturali e inascoltabili. Che sia un'opera dello studio Ghibli, che sia NGE o qualsiasi altra cosa, se la adatta Gualtiero Cannarsi te ne accorgi al più dopo le prime tre battute, a dimostrazione del fatto che è un modo di adattare tutto suo e che non ha niente a che fare con l'originale, altro che traduzione fedele. Poi ripeto, se c'è qualcuno (meglio ancora se più di uno) qua che di giapponese ne capisce e che effettivamente può confermare che "è proprio così, nonostante siano opere di persone diverse i film ghibli e NGE utilizzano gli stessi registri linguistici e non è un modo di fare di Cannarsi, ma è soltanto un caso il fatto che lui si sia trovato ad adattare questi lavori", allora mi metterò l'anima in pace. Ma, scusate di nuovo la diffidenza, dubito fortemente che ciò accadrà. Mi si risponde "magari avrà un modo di lavorare tutto suo, ma la buona volontà c'è e preferisco di gran lunga un adattamento fedele e in alcuni punti 'poco orecchiabile', rispetto a un adattamento che stravolge tutto e fa perdere il senso completo dell'opera". Io dico che fanno schifo uguale, seppur per motivi diversi. Un'opera adattata male e che stravolge il senso di tutto fa schifo per ovvi motivi. Gli adattamenti di Cannarsi sono degli scempi perché sono stranianti e non riesco a concentrarmi sull'opera perché la mia attenzione è rivolta a cercare di non ridere mentre ascolto dialoghi che non si sa da quale tombino siano usciti e cercare di decifrare i passaggi più ostici. Per cui, quale adattamento fa più schifo fra i due? Fanno schifo uguale. "ma quali dialoghi stranianti? Di cosa parli? Porta degli esempi concreti!!" gli esempi sono stati ampiamente portati da altri e mi sono già dilungato più di quanto avrei voluto, se uno vuole altri esempi gli basta aprire uno qualsiasi degli episodi, scegliere un minuto a caso e ascoltare. Di esempi ne troverà a bizzeffe. Se poi mi si viene a dire, come qualcuno ha effettivamente fatto, "io ho ascoltato e non ci ho trovato niente di strano", boh io dico fatevi vedere da uno bravo perché non riesco veramente a capire come facciano questi dialoghi a non suonarvi strani. Del resto, ha già spiegato tutto Cannarsi quando ha detto quanto segue: "Del pubblico non so, ma onestamente non mi interessa neppure. Nel senso che quello che a me interessa è la sensatezza in quanto tale, a prescindere da ogni captazione di benevolenza. Non è mia intenzione far piacere Miyazaki o i suoi film a nessuno. La mia intenzione è proporli ai miei connazionali nella maniera più vicina possibile a quello che erano in originale, ovvero quello che sono. In questo modo, ciascuno potrà decidere se gli piacciono o meno, ma deciderlo sulla sostanza del film, non su una sua alterazione. Tale per me è l'unica sensatezza di ogni 'traduzione' di opera altrui (in ogni sua forma e ambito), e la sensatezza è una cosa che deve essere per sé stessa, un imperativo categorico." Del fatto che il pubblico capisca o meno quello che viene detto, del fatto che i dialoghi sembrino veri o innaturali, di tutto questo a Cannarsi non frega un beneamato cazzo, per cui è inutile stare a discutere su questo punto. C'è gente che è d'accordo, gente che concorda in parte, gente che dice "Cannarsi vai a vendere calzini". Io dico che quello che dice è giustissimo, ma bisogna poi lavorare sull'adattamento e renderlo fluido, scorrevole e in una maniera che non risulti ridicola, cosa che si può benissimo fare senza alterare in maniera significativa il significato e il messaggio originali che gli sono tanto cari. Agli adattamenti però c'è lui e non io, per cui ci dobbiamo tenere queste che secondo me sono mostruosità. Non voglio discutere oltre su questo punto perché credo se ne sia già discusso troppo, ognuno ha detto la sua e ognuno rimarrà della sua idea. Tutto quello che ho detto fino ad ora è già stato detto da altri, magari in maniera diversa. Ho solo voluto ribadire come la penso. Quello che mi preme far presente a tutti è un'altra cosa. A più riprese è stato fatto notare come, nonostante tutto, sia da lodare la disponibilità di Cannarsi a prestarsi al dialogo con tutti, nonostante le innumerevoli critiche che gli vengono mosse e sempre con educazione e garbo. Ebbene, io voglio far notare a tutti come invece quest'uomo sia di una disonestà intellettuale indicibile, arrogante e borioso. In 30 pagine di discussione si è dimostrato aperto al confronto solo su quei punti su cui si sente forte e sicuro, su cui ha argomenti da presentare che secondo lui sono decisivi, ignorando bellamente tutte le domande scomode che non gli chiedono solo "perché in questo particolare caso hai usato queste esatte parole?", ma vanno più a fondo, interrogandosi su tutto il suo modo di operare e di adattare. Quando poi è stato smontato su ogni fronte su una particolare frase da il Vì (e su cui si era preso la briga di discutere perché era sicuro di avere ragione), ha ammesso "sì, hai ragione tu PERÒ bla bla bla bla QUINDI ho ragione io". Da quello che ho avuto modo di leggere, Gualtiero Cannarsi è una persona viscida, disonesta, presuntuosa e superba, ancor prima che incapace e incompetente. Non mi sono rivolto a lui in tutto il post perché non è mia intenzione instaurare un dialogo con questa persona, cosciente del fatto che sarebbe completamente inutile: ho visto come si è comportato con altri, e se si degnasse di rispondermi lo farebbe solo sui punti che lui reputa degni di risposta, ignorando il resto, e distorcendo il discorso. E poi ci sono altre persone che meriterebbero risposta prima di me, come Thedanish che scrive post bellissimi e illuminanti. Ma sono sicuro che se gli rispondesse farebbe la stessa cosa, ignorare quello che non gli garba, rispondere a quello che gli pare e deviare il discorso. Per tutto quello che ho detto finora, voglio concludere riprendendo le parole di qualcuno: Gualtiero, fai un favore a tutti quanti e vai a vendere calzini. (giuro, non è un mio fake! ❤️ ) 1 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
keiske Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 Il 23/6/2019 Alle 09:56, Genzai ha scritto: Siamo tutti - più o meno - d'accordo sul fatto che la mano del traduttore/adattatore debba essere invisibile o quasi Questo lo dici tu. Se fosse così il primo pirla potrebbe tradurre qualsiasi cosa e invece in Italia gli americani li hanno tradotti la Pivano e Pavese... il traduttore è quello scrittore che traduce il libro di un turco come se il turco l’avesse scritto in italiano da italiano. Quello è il traduttore. Se pensi che la mano del traduttore debba essere invisibile non hai le idee molto chiare... Il 23/6/2019 Alle 12:10, Thedanish ha scritto: Mi appoggio al commento di Bospie per puntualizzare alcuni aspetti di metodo che – a malincuore – continuano a essere sottovalutati, e che di fatto determinano, a mio parere, l'intreccio complesso della questione. Procediamo con ordine. Bospie scrive che di Cannarsi apprezza «il non basarsi su ciò che è "pratica comune", ma anzi perseguire il vero significato dell'opera originale». Questo secondo lui porterebbe a un adattamento troppo "analitico"; il termine non è corretto, l'aggettivo giusto è "artificioso" e cercherò di spiegare il perché proseguendo. Bospie, ancora, scrive: «Ogni opera nasce in un contesto culturale ben definito, stravolgere dialoghi, non rispettando il significato esatto delle parole, porta quell'opera più lontana dal posto in cui è nata». Quel che sfugge a Gualtiero e a Bospie, secondo me, è che qualsiasi opera di lettura e interpretazione di un testo è già di per sé un processo di traduzione; nel caso di un testo straniero, la sua resa in altra lingua da quella natia per definizione corrisponde a una mistificazione obbligata atta a rendere intellegibile quel testo alla comunità sociolinguistica destinataria della traduzione. Per sua natura, il testo tradotto è un'alterità imprescindibile. Trovo ingenuo che qualcuno possa pensare, attraverso la traduzione di un'opera, di riuscire a cogliere quell'essenza primigenia di un testo letterario o di un discorso che non può che scaturire dalla corrispondenza contestuale tra significante e significato. È una stupidità, perdonatemi. Allo stesso modo, l'idea che seguendo «l'adattamento di Cannarsi, si possa sentire il vero modo che i giapponesi (o, almeno, i personaggi della serie) hanno di parlare» è una falsità metodologica e linguistica che va scongiurata senza se e senza ma. Il repertorio della lingua e il contesto socioculturale di una comunità non può mai trovare un'effettiva corrispondenza di codici e referenti linguistici che ne renda possibile l'equiparazione o la comparazione scientifica; e questa non è un'opinione, è un dato osservabile. Chiarirò ulteriormente la mia posizione e miei interrogativi, dunque. Gualtiero, più che adottare una metodologia precisa, sembra essersi affrancato da qualsiasi prospettiva teorica utile a orientare l'opera di traduzione e adattamento di un lavoro. Nel suo lavoro intravedo i limiti di una persona che, forse non preparata a sufficienza, persegue un obiettivo ingenuo, in maniera del tutto arbitraria e poco rispettosa nei confronti della comunità linguistica dei fruitori finali. Entro nel dettaglio, facendo un esempio di più immediata chiarezza: la lingua e la comunicazione si fondano sull'interazione continua, organica ed emergente tra due livelli. Primo livello: l'apparato significante – I suoni, le parole, le strutture verbali, le forme del discorso, con cui ci riferiamo a un oggetto della realtà, di cui vogliamo richiamarne l'essenza o il significato (la semplificazione è voluta). Secondo livello: l'eterogeneità dei significati possibili – l'essenza che quel dato suono, quella data parola, struttura verbale o forma del discorso, vuol richiamare rendendola intellegibile e negoziabile all'interno di una comunità specifica di parlanti (ho semplificato di nuovo) Ora, nell'approcciare la traduzione di un testo straniero, cosa è importante avvicinare, connettere e far dialogare tra loro? Le strutture dell'apparato significante o l'eterogeneità dei significati possibili? Le forme della lingua o i significati richiamati? Volendo creare un prodotto artificiale che vuole ricalcare, quasi fosse un esercizio di comparazione strutturale, le figure morfologiche e sintattiche di una lingua straniera, ignorando (perché magari non necessaria) il possibile destinatario della traduzione... beh, la prima opzione, per quanto curiosa e dubbia, andrà benissimo. La seconda opzione, invece, permette di lavorare nell'ottica di una vera e propria negoziazione di senso più estesa rispetto al contenuto di un'opera, che innegabilmente è stata scritta in un preciso momento storico, in specifiche condizioni socio-culturali, per un determinato pubblico di riferimento – fattori che non possono semplicemente essere tralasciati o ridotti semplicisticamente a corollario. In parole povere: un ragazzo italiano di 27 anni nel 2019 non potrà mai attivare lo stesso processo di significazione che ha esperito uno giapponese di 16 nel 1997. Figuriamoci se la lingua in questione è diversa. Un ultimo esempio. In un bar di Brisbane in Australia, un amico a un certo punto disse: «Geez, I need a flame-cutter...». Ebbene, non capii subito a cosa si stesse riferendo, ma poi notai che al bancone non fece altro che ordinare una birra. Mi spiegò ridendo che, in gergo, quel termine indicava il bisogno di una birra ghiacchiata, in grado di spegnere il "fuoco" che ardeva nella gola di un povero assetato. Immaginiamo di trovare la stessa frase nel copione di un film.Daniel: «Geez, I need a flame-cutter...». Matthew: «I got you man, come with me!».PRIMO APPROCCIO ALLA TRADUZIONEDaniel: «Gesù, necessito di un taglia-fiamma (?)». Matthew: «Ti possiedo uomo, vieni con me!». Cosa ho fatto? Equiparazione dell'apparato significante, resa letterale. Cosa non ho fatto? Studio dei referenti di significato, studio del contesto culturale, studio dei singoli parlanti, studio dei registri linguistici di destinazione adottabili, studio dei codici linguistici di destinazione adottabili.SECONDO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Accidenti, ho bisogno di una birra...». Matthew: «Ti capisco, amico. Vieni con me!». Cosa ho fatto? Abbandonato la resa letterale e l'equiparazione dell'apparato significante. Inoltre ho studiato i referenti di significato e li ho resi intellegibili alla comunità di parlanti più estesa a cui può essere destinata la traduzione.TERZO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Madonna, c'ho bisogno di una birra ghiacciata...». Matthew: «Ci penso io, seguimi!». Cosa ho fatto? Ho studiato il contesto culturale, ho scoperto che cosa realmente vuol dire "flame-cutter" e a quale dominio d'uso appartiene. Inoltre ho approfondito lo studio dei parlanti: sono due ragazzi di 30 anni, adottano un registro medio, colloquiale, spesso non sorvegliato ma raramente volgare. Ho infine pensato a quale registro dell'italiano potessi fare affidamento e quale codice. Spero sia chiaro quali sono gli interrogativi stringenti che ho rivolto a Gualtiero – senza che mi aspetti per forza di cose una sua risposta. E mi auguro sia chiara qual è la postura da cui muovo le mie osservazioni. 92 minuti di applausi Link to comment Share on other sites More sharing options...
Popular Post Nari Posted June 23, 2019 Popular Post Share Posted June 23, 2019 (edited) Buongiorno. Ho seguito la discussione in questi giorni, ma non ho mai commentato. Ultimamente, fortunatamente, mi ritrovo molto in ciò che dice il buon TheDanish. Non sono una linguista come lui, ma lavoro nel campo dell'intrattenimento ormai da qualche anno, sia nel cinema d'animazione che nella pubblicità. E, beh, ha ragione. La traduzione alla lettera che sta impiegando Cannarsi, è effettivamente un problema molto serio, lo dico appunto perché sono nel giro da un po' e lavoro per il mercato estero. Tradurre senza adattare (cosa che di fatto qua si sta facendo da anni), rende i dialoghi estremamente difficili da leggere, i giochi di parole comunque totalmente incomprensibili al pubblico di destinazione ed oltretutto, sebbene si creda che questo possa essere un pegno di rispetto per gli autori, posso dirvi per certo, essendo dall'altro lato del muro, che anzi rovina completamente il lavoro di sospensione di incredulità che un autore crea. Signor Cannarsi, lei più volte ha detto che fosse il compito dell'usofruitore sforzarsi e capire i dialoghi... Beh, lei, con tutto il rispetto, evidentemente non ha nozioni nel settore, altrimenti saprebbe che la pipeline collabora affinché dall'usofruitore si tolga totalmente il peso e lo sforzo della difficile comprensione, evitando di appesantirne la fruizione e dandogli un prodotto facilmente comprensibile proprio perché non arrivi a doversi sforzare eccessivamente mentre viene intrattenuto. (E ciò non significa impigrirlo, ma anzi evitare che senta fastidio nel guardare un film, un po' come si cercano le note intonate in una canzone) Ora, mi stanno bene alcuni termini da lei scelti, non sono qua a sindacare di nuovo su Angelo/Apostolo, ma vorrei solo dirle che il suo modo di concepire il media è estremamente dannoso per lo stesso ed imponendosi così sull'opera non sta affatto facendo un favore; oltretutto perché lei si prende delle libertà gravissime, che non tengono assolutamente conto di quello che è il desiderio di destinazione dei clienti per cui lavora. Adesso, lei ha il compito di tradurre ed adattare, non può assolutamente decidere di restringere il pubblico a piacimento, dando degli strumenti di comprensione di difficile uso. Cioè, intendiamoci, se l'azienda Gainax (o Ghibli per fare un discorso più vario) ha deciso che il pubblico per la sua opera deve essere quello delle famiglie con bambini, lei non può inserire delle bestemmie nei dialoghi per rispettare la traduzione letterale. Capisce che va a scavalcare completamente tutto il lavoro della pipeline rendendo il prodotto di difficile comprensione agli spettatori di destinazione? (Nonché rischiando anche dei problemi legali, perché esiste gente che possa chiamare un avvocato per queste cose? Il mondo dell'intrattenimento è delicatissimo e richiede molta attenzione, specie se ci sono bambini e religione di mezzo.) Tornando a NGE, se il pubblico è generalista, (secondo l'azienda di rating giapponese, Vietato ai minori di 15), lei non può rendere le frasi estremamente macchinose da leggere, perché lei deve adattarsi al target che l'azienda (ora Netflix) le ha imposto. Il target di NGE non è di laureati in lingue orientali, altrimenti, come ben saprebbe se conoscesse il mercato giapponese, il protagonista della serie non sarebbe stato un ragazzino minorenne e non si sarebbe parlato di ragazzini minorenni che cavalcano robot. È chiaro che il target primario di NGE siano gli adolescenti e che gli adulti di una certa età siano la coda del target. Ora, lei ha preso questo target di adolescenti e giovani adulti e ha dato in pasto loro delle frasi così macchinose, che c'è stata necessità di mettere in pausa e riascoltare più volte. E per favore, non neghi l'evidenza, perché sicuramente sa anche lei che è quello che sta succedendo. Le frasi scritte sono un conto, i dialoghi ascoltati sono un altro, sa molto bene anche lei che l'input dell'orecchio è di minore immediatezza rispetto ai segnali visivi, (pertanto questo è il motivo per cui l'audio dei dialoghi va sfasato sempre rispetto al labiale dei personaggi, in fase di animazione) quindi non può assolutamente prendere un testo scritto e piazzarlo in sala doppiaggio senza avere consultazioni con i doppiatori. Sempre come ben sa, se lo spettatore stoppa e torna indietro è molto, molto grave per un'opera di intrattenimento. Significa rompere la sospensione di incredulità e perdere lo spettatore. Al cinema questo rischia che la persona se ne vada a metà film e sarebbe una cosa gravissima. Mi scusi, ma non si è confrontato con il direttore del doppiaggio? Ma non ha attuato una revisione pre-doppiaggio? I doppiatori non le hanno detto di avere delle difficoltà a leggere le frasi?(cosa molto chiara dai file audio finali. Così come era chiaro in alcuni film Ghibli dove la battuta era velocizzata per rimanere nel labiale) Ma soprattutto, lei ha tenuto conto della sillabazione, della ritmica negli accenti e del labiale in fase di doppiaggio? La sincronizzazione occhio-orecchio è molto importante ai fini di una usofruizione scorrevole e nei suoi lavori spesso ho notato grossi errori in tal senso. Ribadendo che non entrerò nel merito delle singole traduzioni (per tanto la invito a non giustificarsi per quelle, non saprei cosa risponderle), spero che avrà tempo per rispondere alle mie domande. Grazie. P.s. Aggiungo solo un appunto sulla destinazione del prodotto. Signor Cannarsi, lei dovrebbe rendere la fruizione del prodotto uguale agli italiani come ai giapponesi. E ciò non significa che debbano capire le stesse parole, ma provare le stesse microemozioni e le stesse sensazioni durante l'ascolto. Per fare un esempio specifico, se il regista introduce un personaggio che parla in maniera volutamente incomprensibile per i personaggi e per gli spettatori, il suo compito è di provocare la stessa sensazione agli italiani. Per questo motivo spesso gli italiani diventano per noi spagnoli o francesi. Perché se parlassero in italiano come tutti gli altri, questa differenza di lingua non esisterebbe e non esisterebbe più il senso in tutti gli equivoci legati al contesto. Perciò, se il regista vuole che la sensazione dello spettatore sia di familiarità, quiete mentale, comprensione, lei non può assolutamente cambiare questa cosa a suo piacimento, lo capisce che non è pagato per questo e non è il suo lavoro? È molto irrispettoso. Arrivederci. Edited June 23, 2019 by Nari 9 1 2 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Godot Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 Adesso, Matteo Mascellani ha scritto: Questo lo dici tu. Se fosse così il primo pirla potrebbe tradurre qualsiasi cosa e invece in Italia gli americani li hanno tradotti la Pivano e Pavese... il traduttore è quello scrittore che traduce il libro di un turco come se il turco l’avesse scritto in italiano da italiano. Quello è il traduttore. Se pensi che la mano del traduttore debba essere invisibile non hai le idee molto chiare... Invisibile significa che nel momento in cui leggo un libro o guardo un film non devo accorgermi che l'abbia tradotto X, per esempio. Il traduttore non si deve sostituire allo scrittore. Per esempio, se una prefazione viene scritta nello stesso modo del libro stesso è un problema. 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
keiske Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 Vorrei far notare che tutto si puó dire tranne che chi sta intervenendo sia un bimbominkia analfabeta funzionale... a leggere gli interventi di tutti la prima cosa che mi salta all’occhio è il ricchissimo uso di vocaboli italiani di vari misura e registro... il che dovrebbe perlomeno far sorgere a Shito il dubbio che stia ricevendo osservazioni preziose per migliorare il suo modo di lavorare (tutti possiamo migliorare, sempre). Non sprecare questa opportunità... 5 minuti fa, Godot ha scritto: Invisibile significa che nel momento in cui leggo un libro o guardo un film non devo accorgermi che l'abbia tradotto X, per esempio. Il traduttore non si deve sostituire allo scrittore. Per esempio, se una prefazione viene scritta nello stesso modo del libro stesso è un problema. Concordo... ho specificato dopo che il traduttore dovrebbe essere colui che, se ad esempio parlassimo di un libro di King, dovrebbe tradurlo come se a scriverlo fosse stato Stefano Re 1 Link to comment Share on other sites More sharing options...
Shito Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 (edited) The Danish: scusa se parto sempre dal fondo. Trovo che il tuo esempio sia misero. Al di là dell'uso di terminologia "scientifica" quale "apparato significante" (mi ricorda i miei studi di semiotica e semiologica quando dissi "l'esistenza di un termine quale "semiologia" mi offende a livello semiotico" - per ridere e provocare), davvero leggendoti mi sono sentito un po' come quando lessi La vita agra di Bianciardi, dietro suggerimento di Bianconi. Prendo il tuo esempio: Daniel: «Geez, I need a flame-cutter...». Matthew: «I got you man, come with me!».PRIMO APPROCCIO ALLA TRADUZIONEDaniel: «Gesù, necessito di un taglia-fiamma (?)». Matthew: «Ti possiedo uomo, vieni con me!». Cosa ho fatto? Equiparazione dell'apparato significante, resa letterale. Cosa non ho fatto? Studio dei referenti di significato, studio del contesto culturale, studio dei singoli parlanti, studio dei registri linguistici di destinazione adottabili, studio dei codici linguistici di destinazione adottabili.SECONDO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Accidenti, ho bisogno di una birra...». Matthew: «Ti capisco, amico. Vieni con me!». Cosa ho fatto? Abbandonato la resa letterale e l'equiparazione dell'apparato significante. Inoltre ho studiato i referenti di significato e li ho resi intellegibili alla comunità di parlanti più estesa a cui può essere destinata la traduzione.TERZO STEP DI TRADUZIONEDaniel: «Madonna, c'ho bisogno di una birra ghiacciata...». Matthew: «Ci penso io, seguimi!». ---- Alla mia lettura ci sono un sacco di errori, in tutti gli step, in ciascuno di essi. Dall'inizio, "Geez" non è "Jesus". VIENE, deriva, da "Jesus". Quindi non va (non si può) renderlo con "Gesù". Perché è "minced oath", e tale deve restare. Io di solito in italiano lo rendo con "cribbio", quale "minced oath" di "cristo". Tradurre "got" come ti "possiedo" non è letterale, non è l'apparato, non è nulla che un errore. "Get" vuo dire tante cose. Semmai "Ti ho colto", per fare il letterale. Anche in italiano, "cogliere qualcuno" vuol dire anche capirlo.Inoltre "I got you" è passato, non è "I get you". Anche tradurlo come "ti capisco" (presente) per me è errato di fatto. Quindi, semmai, STEP1: Daniel: «Cribbio, mi serve un flame-cutter...». Matthew: «Ti ho colto, uomo. Vieni con me!». Questo per me sarebbe lo step 1. Nello step: si fa un minimo di indagine filologica, che è un nome altisonante per dire che si cerca di capire il significato reale delle parole e della loro uso idiomatico nel contesto. Che è normale. E' una cosa che quando si legge una lingua straniera opera il nostro subconscio, no? Quindi, ok: "man" non è "uomo" nella sua indicazione di specie biologica e genere, ma è un appellativo cameratesco molto "base" tra amici. Quindi, ok: flame-cutter non è una porta tagliafiamma ma è una metafora per una bevanda che rinfreschi una gola che va a fuoco (riarsa dalla sete). Quindi, ok: "to get someone" è un modo colloquiale per indicare l'avvenuta 2intesa2 dell'altro, non è una variazione diastratica, né diafasica, altro che "popolare, colloquiale". Quindi, per me, STEP2: Daniel: «Cribbio, mi serve un flame-cutter...». Matthew: «T'ho capito, amico. Vieni con me!». No, NON voglio introdurre una blanda blasfemia dove in originale la blasfemia è "macinata", quindi l'uso di "Madonna" è errato. Peraltro, è un italianismo sciatto: è nella nostra cultura italiana che "la Madonna" è diventa una divinità superiore al figlio suo, perché siamo noi gli eredi del matriarcato naturale da cui il primato di Cerere, le messi, la terra fertile, la Madonna che diventa avatar di ogni divinità feconda pagana e tutto il resto. Quindi no, la madonna NON c'entra con questi due tizi. "Cribbio" non è male, potrebbe esserci di meglio, continuerò a pensarci, No, NON voglio togliere quel "man". Capirlo è una cosa. Renderlo è la successiva. TOGLIERLO è un errore, per me. No, NO voglio cambiare "vieni con me" con "seguimi". In Angloamericano si può dire "follow me". Si dice e si usa. Avrebbero potuto dire così. Ma non lo fanno, Quindi "Vieni con me" non comporta alcun problema, si capisce, è chiaro, è pertinente, ed è fedelmente attinente all'originale: BEST CHOICE FOR ME. Infine, "flame-cutter". NO, non voglio esplicitarlo con "birra ghiacchiata", perché in inglese è una metafora, e quantomeno voglio una metafora anche nella sua resa. Avrebbero potuto dire "a chilled beer". Non lo fanno. Devo trovare una metafora calzante. E la devo escogitare, perché non voglio un costrutto troppo italinoista che crei un conflitto vorma-contenuto in bocca a degli stranieri. ---- Poi ci sarebbe quindi lo Step3 (e poi il 4, per me), ma qui ci vorebbe tempo e questo è solo un esmepio. Quindi per me: no. Quello che tu esprimi per me è proprio di base, non è neanche la metà del lavoro, è una cosa che viene fatta automaticamente persino a livello subconscio già solo in fase di lettura e comprensione. Poi ti fermi lì e sovrastrutturi male, pedestramente, PER ME. Legittimandoti con "apparati teorici" mutuati da tutta una traduzione STORTA (per me) di "traduzione". Ovvero, per capirci: (?): confezione così una traduzione peggiore di quelle di Carlo Fruttero, uomo di grande cultura (come pure tu mi sembri), ma altresì autore di traduzioni per me meno che mediocri. :-) Edited June 23, 2019 by Shito 1 1 2 3 Link to comment Share on other sites More sharing options...
il Vì Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 (edited) Nel frattempo mi sono documentato. Io vorrei che quanti difendono Gualtiero su questi adattamenti e difendono la sua scelta per Shito/Angel=Apostolo/Angel riflettano sulla coerenza anche di tali affermazioni alla luce della resa di 第3新東京市 (Daisanshintokyoshi, tradotto: "terza città di nuova tokyo/terza nuova città di tokyo/città di terza nuova tokyo", a scelta) come "la città di Neo Tokyo 3" nel nuovo doppiaggio. Neo tokyo 3, è bene ricordarlo, è l'equivalente di "Angel" nelle schermate (se ben ricordo) e nei materiali cartacei della serie (di questo ho la certezza). Nel parlato usano, appunto, daisanshintokyoshi (cfr.Shigeru in episodio 1, Misato in episodio 2, ecc) Perché tanto purismo su un termine per poi svaccare completamente su altri? Citare film di fantascienza come "Neo Tokyo" o tutte le versione alternative in altri anime e manga (dove, per altro, veniva espresso come ネオ東京, Neo Tokyo) non fa che avvalorare la tesi di chi sostiene che non ci sia minimanente aderenza all'originale (né coerenza interna, come si può vedere) nei testi redatti da Gualtiero. Mi riferisco a quanti hanno detto ad altri utenti che "se non ti va bene così puoi guardalo in giapponese o nei vecchi dvd", con una spocchia simile a quella di Gualtiero. Dov'è questa fedeltà, questa coerenza? Edited June 23, 2019 by il Vì 4 4 Link to comment Share on other sites More sharing options...
keiske Posted June 23, 2019 Share Posted June 23, 2019 4 minuti fa, Shito ha scritto: Quindi per me: no Non ci dici come l’avresti adattato tu per non farci cascare i testochili? 🙄 2 2 Link to comment Share on other sites More sharing options...
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