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Una questione di suono


Shito

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1+1=2

 

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Senz'altre italiche parole.

Se mai ne troverò la forza, vi riporterò l'interlineare di tutte quelle giapponesi.

Ma sono ormai vecchio, e stanco, e l'intento è sempre lo stesso (permettere al mio prossimi di capire qualcosa che io credo di capire e io credo abbia valore), ma le energie sono quelle che sono rimaste.

ごめん。

Edited by Shito
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Mi vuoi far commuovere come ogni altra volta che vedo il finale di MI?

Ho deciso che semmai mi farò un tatuaggio sarà proprio il semplice titolo: 悲しみよこんにちは, tra l'affetto e l'amore che nutro per la serie ormai più che ventennale e alcune parti del testo che mi hanno sempre rappresentato bene e la passione per la musica giapponese credo sia una delle poche scelte di cui non mi pentirei mai

Una cover di una nostra vecchia conoscenza

 

Edited by Godai
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Personalmente Maison Ikkoku è una di quelle serie che sono convinto adorerei, ma non mi decido mai a iniziare, anche per la lunghezza del tutto e per la difficoltà di reperimento. (Parlando in termini di mitizzazione del passato, magari mi offende ancora il fatto di non averla vista su Junior TV all'epoca in cui non si sapeva nulla di nulla... ma confido che questo si superi prima o poi. Magari se verrà replicata in TV.)

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Per pura analogia:

È l'unica sigla che mi è parsa paragonabile a quelle di Maison Ikkoku (questione di suono, sì). Chissà se ha un testo altrettanto importante.

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La grande differenza tra Maison Ikkoku è altre opere belle e di valore che parlano di crescita umana nella società giapponese, secondo me è che Maison Ikkoku affronta un'età – la prima adultità – che è meno tipica in un mezzo espressivo che è comunque sempre principalmente rivolto verso la gioventù, ovvero il disegno narrativo (statico o animato).

Per dire, se facciamo il paragone tra uno manga come Maison Ikkoku e uno shoujo manga come Kimi Shina Iranai di Yoshizumi Wataru la differenza è abissale (anche se si parla sempre di "superamento della vedovanza"), e questo è ovvio. Yawara! è sicuramente un'opera importante, ma personalmente la vedo più vicina alle opere di quello che per me è un altro vero colosso del manga, ovvero Adachi Mitsuru. Maison Ikkoku resta veramente un'opera sui generis, secondo me, anche per la straordinaria, pressoché unica, capacità dell'autrice di mischiare caratterizzazioni serie e grottesche negli stessi personaggi. Benché Takahashi Rumiko abbia avuto grande riconoscimento internazionale, invecchiano e conoscendo più e più il Giappone e la sua società da più e più vicino mi sono ritrovato a pensare che proprio i suoi manga "classici" sian del tutto incomprensibili senza avere non dico una "profonda comprensione", dico una "genuina sensazione" della vita in Giappone. Ancor più di quelli di Takahata Isao, il cui realismo riesce a diventare anzi persino esplicativo, per chi ha la sensibilità per coglierlo. Guardando con attenzione Heisei TanukiGassen Ponpoko si uò cogliere, anche dall'esterno, qualcosa della società giapponese - per dire. Lo stesso con Hohoukekyou Tonari no Yamadakun. Persino con Jarinko Chie. Ma con Maison Ikkoku, secondo me, no. Con Maison Ikkoku la cognizione del Giappone è un prerequisito alla comprensione dell'opera. Senza quel prerequisito, credo, i contenuti dell'opera sono destinati a rimanere tragicamente segmentati. Il momento comico, il momento trgico, il momento romantico. Ma in realtà, tutto è fuso in ogni momento. Nelle caratterizzazioni grottesche di Ichinose Sanae, Yotsuya e Roppongi Akemi, c'è realismo. Inizia a pensarci quando un mio caro amico giapponese, un mio senpai grande amante dell'animazione mi fece notare che "Nei momenti buffi, Grandis [in Nadia] è Lum, perché oltre al canino ne ha le nevrosi giovanili, ma nei momenti seri è Roppongi Akemi, perché oltre al rsso dei capelli ne ha la cognizione della vita femminile". Questa cosa mi colpì. Diciamo che senza rivedere nei personaggi, negli ambienti, nelle situazioni di Maison Ikkoku i volti e i posti reali di cui quelli fittizi sono astrazione, coglierne il senso è secondo me del tutto impossibile.

Mi vengono ora in mente le lezioni di letteratura inglese in cui Nabokov diceva che comprendere Joyce è assolutamente impossibile senza essere stati a Dublino, e avere visto – quelli veri – i dubliners.

Edited by Shito
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1 ora fa, Shito ha scritto:

Iniziai a pensarci quando un mio caro amico giapponese, un mio senpai grande amante dell'animazione mi fece notare che "Nei momenti buffi, Grandis [in Nadia] è Lum, perché oltre al canino ne ha le nevrosi giovanili, ma nei momenti seri è Roppongi Akemi, perché oltre al rosso dei capelli ne ha la cognizione della vita femminile".

(Decisamente costui ha una grande abilità letteraria e una grande nonchalance nel parlare di "nevrosi giovanili". Dovrei andare a (ri?)cercare che senso abbiano i canini nelle scene comiche.)

25 minuti fa, Roger ha scritto:

peccato che alla fine tutto si riveli funzionale a stabilire una condizione permanente di adultescenza.

Vorrei dire: "Perché, ne esistono altre?", ma soprattutto perché "adultescenza" mi sembra voler dire tutto e niente.;)

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non è difficile eh.

se alla fine di tutto un percorso mirato alla crescita e dunque divenire "adulti" (stato psicofisico e sociale chiaramente vaghissimo. opportunista e semplificatissimo in questa materia, sempre che non ci si lasci trasportare troppo dalla narrazione del medium), una volta raggiunto l'obiettivo i protagonisti si lasciano sempre andare per fare un passo indietro, riproponendo quella parte di sè ad inizio opera ma sotto altra luce più nobile, e lì restano. ma si ha la percezione che ce l'abbiano fatta per via di quello che hanno attraversato o ciò che in fin dei conti si sperava divenissero, nonostante le varie difficoltà inscenate, sin dal principio della storia.

dunque rifiutano di essere completamente gli adulti.

dunque cercano un compromesso per scappare.

dunque non sono proprio quello che volete credere che siano.

dunque anche voi volete fuggire, e la narrazione/fiction* lodata ne diviene la giustificazione? lo strumento ed i costrutti mentali per accettarsi?

dunque dunque...

 

*fiction, attenzione :whistle:

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2 hours ago, Anonimo (*lui*) said:

(Decisamente costui ha una grande abilità letteraria e una grande nonchalance nel parlare di "nevrosi giovanili". Dovrei andare a (ri?)cercare che senso abbiano i canini nelle scene comiche.)

Tieni presente che il dialogo non si svolgeva in italiano, e accadeva anni e anni fa, ed era in mezzo a tutto un discorso. Il termine "nevrosi", nella mia riproposizione in italiano, non vuole essere inteso in modo specifico. Non ricordo neppure che termine preciso lui pronunciò, parliamo di una chiacchiera tra amici, non dell'intervista trascritta di un invitato a un simposio scientifico. :-)

Pensa a una cosa generica come "isterie giovani", o "nervosismi giovanili".

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Roger: mmh... no. Sul finire della storia i protagonisti sono drasticamente cambiati, e hanno dovuto compiere scelte che risultano essere tutt'altro che di escapismo. Nel senso, Kyoko da vedova fa cose come autoimporsi di lasciare alle spalle il ricordo del marito defunto per potersi completamente concedere al suo nuovo partner. Kyoko non lo fa solo pensando a se stessa col fine di trovare un modo per poter andare avanti, ma lo fa anche nei riguardi di Godai, e se non ricordo male c'è una scena in cui addirittura Kyoko glielo fa presente. Lei a quel punto della storia è ormai convinta di voler coltivare un nuovo amore con Godai, ma fino a quando non riesce a mettere a posto i suoi sentimenti lei prende deliberatamente la scelta di non intraprendere alcuna reale relazione amorosa.

Poi si potrebbe aggiungere altro e altro ancora, ma davvero ti sembra che i protagonisti non abbiano compiuto una loro maturazione? (Kyoko era già più o meno matura almeno rispetto a Godai, ha semplicemente compiuto una ulteriore maturazione).

Edited by Armandino-san
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guardi troppo le cose senza pensare cosa rappresentano veramente. o forse non lo vuoi.

alla fine i personaggi sono diventati quello che lasciavano intendere e volevano all'inizio. è evidente che doveva andare così ed in nessun altro modo. dunque in realtà erano già maturi (la domanda è: fino a che punto?), e tutto quel che accade nei vari episodi prima della realizzazione del tutto è una serie di deviazioni posticce, distrazioni e finzioni volte a creare un gioco che intrattiene, diverte o appassiona lo spettatore di un certo tipo. perchè volersi ingannare che non sia così? perchè fuggire?

ma, in conclusione, quegli stessi personaggi rifiutano di diventare esattamente quegli adulti che speravano ed abbracciano, caratterialmente, una parte degli aspetti che li rendevano immaturi (di nuovo la domanda: fino a che punto?). è il passo indietro dopo i vari progressi e la vittoria. perchè altrimenti non ce la farebbero e nello scegliere questo rimangono coerenti con sè stessi. si rendono conto che è meglio arrivare secondi piuttosto che primi, altrimenti hai troppe responsabilità :whistle:

 

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Anche se appunto non ho visto la serie, da quanto scrivi mi viene da pensare che Kyoko e Godai siano appunto solo diventati adulti a loro modo e non come la generazione precedente; avranno il loro equilibrio e i loro limiti... Se poi c'è una continuità con quello che sono stati e non una cesura, tanto meglio...

Edited by Anonimo (*lui*)
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45 minuti fa, Roger ha scritto:

e tutto quel che accade nei vari episodi prima della realizzazione del tutto è una serie di deviazioni posticce, distrazioni e finzioni volte a creare un gioco che intrattiene, diverte o appassiona lo spettatore di un certo tipo. perchè volersi ingannare che non sia così? perchè fuggire?

Allora, che Maison Ikkoku sia da considerarsi un'opera di intrattenimento non lo metto in dubbio. Il punto è che anche in ciò che è concepito come intrattenimento si possono ritrovare dei valori e degli spunti di riflessione. Non nego che ciò che hai scritto qui sopra non sia presente nell'opera, solo che c'è anche dell'altro, e questo "altro" secondo me ha valore reale. In secondo luogo, questo "altro" come al solito è per noi non giapponesi arricchito dal fatto che ogni elemento culturale che in origine è dato per scontato o quasi, per noi non lo è. Come stava giustamente facendo notare Shito, Maison Ikkoku è un'opera in cui la cognizione del Giappone è un prerequisito alla comprensione dell'opera stessa. Pur tuttavia, anche il solo avvicinarsi a quegli elementi fino a prima ignorati e approcciarsi ad essi in modo genuino e diligente è un valore aggiunto, ed è quello che ha fatto appassionare molti a queste cose qua.

Per il resto che hai scritto, le cose sono due: o devo riguardarmi l'opera daccapo perché non ci ho capito un bel niente oppure è il contrario.

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23 hours ago, Roger said:

peccato che alla fine tutto si riveli funzionale a stabilire una condizione permanente di adultescenza.

Anche io avevo un po' di problemi a capire cosa intendessi per "adultescenza", che ho poi cercato sul dizionario. Ti ringrazio intanto per avermi portato a questa semplice ricerca. Il lemma, che è presente tanto sul dizionario quanto sull'enciclopedia Treccani, mi pare in sé di un valore cruciale nella sociologia contemporanea  [postmoderna], quindi ancor più ti ringrazio, dacché siano a prima mi era del tutto sconosciuto.

Si capisce quindi che il vulnus è in questo forum specialmente vibrante se pensiamo che Ejisonta apriva il suo testo dell'articolo conclusivo dell'originale "Otaku no Kenkyuu", lo "studio studio degli otaku" che ne canonizzo il [particolare uso sostantivale] del termine stesso, citando a sua volta "Noi non vogliamo diventare adulti".

 

21 hours ago, Roger said:

non è difficile eh.

se alla fine di tutto un percorso mirato alla crescita e dunque divenire "adulti" (stato psicofisico e sociale chiaramente vaghissimo. opportunista e semplificatissimo in questa materia, sempre che non ci si lasci trasportare troppo dalla narrazione del medium), una volta raggiunto l'obiettivo i protagonisti si lasciano sempre andare per fare un passo indietro, riproponendo quella parte di sè ad inizio opera ma sotto altra luce più nobile, e lì restano. ma si ha la percezione che ce l'abbiano fatta per via di quello che hanno attraversato o ciò che in fin dei conti si sperava divenissero, nonostante le varie difficoltà inscenate, sin dal principio della storia.

Da un lato, mi viene da dire che la narrativa per l'infanzia e la giovinezza trova, naturalmente, nel bildunsroman [il romanzo di formazione] uno dei suoi generi più spiccati. Questo è naturale, dicevo, perché ciò che i giovani non possono realmente evitare di fare è crescere, e quindi rivolgendosi a loro verrà naturale indicare strade buone, da perseguirsi, e strade cattive, da evitarsi. Questo secondo le libere idee dei liberi autori, auspicabilmente, e già solo in questo hai ragione nel dire che lo stato psicofisico e sociale di "adulti" è cosa vaghissimo, se poi aggiungiamo le variazioni diatopiche (i diversi luoghi) e diacroniche (le diverse epoche) tutto si fluidifica e relativizza ancor più.

Quale sia la funzione, l'utile, l'ideale della narrativa per i giovani è essa stessa una cosa discussa. C'è anche chi ritiene che il suo compito sia "portare sollievo ai più giovani dalle tensioni della realtà", per esempio un Miyazaki Hayao. Questo fine diciamo consolatorio porta rapidamente a una funzione escapistica della fruizione (e creazione, direi io) della finzione, ma tant'è. Di qui si arriverebbe a parlare della necessità tipicamente autoterapica della creazione artistica essa tutta, della necessità di rifugio in un metamondo fittizio in quanto tale, ecc. Tutte cose che di mio trovo molto interessanti in senso psicologico, sociologico, etnografico e  storico, a partire dalla condanna platonica dell'arte imitativa sino alle forme di iconosclastia più rigorose come quelle promosse dall'ortodossia di svariate religioni rivelate, ma qui restiamo sul nostro misero ambito.

 

21 hours ago, Roger said:

dunque rifiutano di essere completamente gli adulti.

dunque cercano un compromesso per scappare.

dunque non sono proprio quello che volete credere che siano.

dunque anche voi volete fuggire, e la narrazione/fiction* lodata ne diviene la giustificazione? lo strumento ed i costrutti mentali per accettarsi?

dunque dunque...

 

*fiction, attenzione :whistle:

Provo a citare delle opere che mi saltano in mente come grilli per la testa che, secondo me, non propongno quella formazione compiuta ma poi invertita di cui tu citavi.

Maison Ikkoku, appunto, dove nell'epilogo, dopo il matrimonio, Yusaku e Kyouko sono presentati come adulti che hanno formato una famiglia nucleare funzionale, con la nascita della loro primogenita. Lo stesso viene narrato per Shun e Asuna, e parimenti per Kozue. LA sola che vive ancora la sua adolescenza è Ibuki, che è in effetti più giovane. Non si vedono "passi indietro" di sorta.

Akage no Anne, che come l'originale letterario segue la crescita (realmente messa in scena nella versione animata, cosa rara ancora oggi!) di una bimba che lotta e riesce a superare i suoi traumi dell'abbandono. E ci riesce, pronunciando sappiamo quale famosa frase in errata citazione di Browning, affacciandosi con serenità all'età adulta (la cui narrazione è disponibile sui libri di originale seguito).

Omohide PoroPoro, la cui narrazione verte tutta proprio sulla presa di coscienza della propria stasi in adultescenza, da cui un forte rifiuto e cambio di rotta - col più simbolico e veemente dei congedi finali.

Majo no Takkyuubin, persino. A mio dire un bellissimo bildunsroman al femminile.

Fushigi no Umi no Nadia, che come tutte le opere dell'autore altro non è che una riproposizione della psicodinamica di Akage no Anne, e si conclude con un epilogo in cui i bimbi sono cresciuti in adulti, per quanto avendo attraversato la più fantascientifica delle narrazioni.

Kareshi no Kanjo no Jijou, dico ovviamente il manga originale e completo, che pur prendendo le mosse da situazioni scolastiche grottesce e buffe attraversa tutta una fase di drammaticità psichica del protagonista per poi giungere a un epilogo di piena e pienamente conscia adultità - con i protagonisti che hanno famiglia, tre figli, due lavori "seri e normali e non fantastici", e soprattutto lei che è seriamente lieta di vivere appieno la sua vita adulta.

E questi sono i primi che mi saltano in mente, ecco.

Negli esempi citati io non vedo alcun rifiuto della propria conquista d adultità.

Il che non vuole assolutamente dire che non ci siano tante opere in cui la dinamica è quella che indicavi tu, certo.

Ma ancora, ci sono opere belle e brutte, intelligenti e stupide, oneste e disoneste, sincere e ipocrite.

E la selezione è l'arma della sopravvivenza. Come anche la Natura da sempre sa e pratica.

E nel mondo della libertà, ognuno si salva da sé, in fondo.

Edited by Shito
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