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Midnight in Paris


Shuji

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Woody Allen la cerca proprio la quarta parete.

Ci si appropinqua a tentoni, spintoni, se ne rammenta l'odore della Rosa del Cairo, la estremizza, l'annienta e la rende persona.

 

La quarta parete pero' non piu' verso lo spettatore, ma verso le proprie pulsioni, concezioni, entrando a propria volta come persona nel proprio immaginario.

 

E qua, come in tutti i film di Allen, nutre le proprie contraddizioni piu' remote.

 

Del resto, lo scrittore Allen con il tramite dell'avatar attoriale di Owen Wilson, sfondando la quarta parete spazio/temporale, si rende uomo e macchietta insieme, alla ricerca dell'uomo e della macchietta delle persone divenute con solo il tramite del tempo icone immortali. Tanto icone e tanto immortali da non essere piu' altro, se non rigurgiti autoriali sul presente.

 

Non saprei dire se il film mi sia piaciuto o meno.

Non lo amo, non lo odio e neanche mi e' indifferente.

Credo che in questo film Allen le canti un po' a tutti, e la sua voce non e' mai stata quella di un usignolo.

 

Credo che l'uomo ne venga svilito.

Credo che l'artista ne venga svilito.

Ma come nel film ci si allontana nella pioggia, ora, in questo momento, praticamente nevica.

 

E alla fine e' giusto cosi'.

Cosi' come e' giusto nel film.

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  • 2 months later...

La quarta parete 'interna' (quella della narrazione nella narrazione) era proprio insieme a Harry, anche. E il macchiettismo la faceva da padrone. :-)

 

Parlando della Mezzanotte a Parigi, che ho visto in volo - italiano e inglese.

 

In teoria avrei dovuto essere il perfetto fruitore-tipo di questo film. Sono stato al museo di Rodin, ho studiato tutta la relazione con la Claudel (che era l'amante, sì, ma mai sposata e richiusa in manicomio), ho fatto del Museo di Gustave Moreau una mia La Mecca privata, come di tante altre - su tutte ShinSekai a Osaka. UInsomma sono un po' quel tipo di pirla lì. E così, subito sorridevo per l'autore del Grande Gatsby (coming soon new movie by DiCaprio), e ho riso come un matto per salve, io sono Eliot (non ho pensato a E.T., ma a Wastelands, si capisce). Dalì un capolavoro, e qualcuno scritturi SUBITO l'attore che faceva Hemingway per fare Steve Jobs - non è uguale, è il sosia.

 

Tuttavia, al giro di boa il film non mi entusiasmava. Scorreva lento, prevedibile, con risate a sprazzi. Manco fosse stato commedia dell'artye - forse lo era, in un altro senso. Insooma anche a me il film ha lasciato sentimenti misti. Dapprima ridacchiavo qua e là ma ero del tutto stancato dal macchiettismo grottesco, tipico di Allen. E le macchiette storiche erano le minori: lui, il bravo otaku della letteratura ispirata, lei la cretina borghese con i genitori cliché, la negoziante pargina che telefona happy end al primo sguardo. Il tutto mi pareva molto insignificante, e questo non è buono.

 

Ovviamente, la geniale trovata - il senso del film - è incapsulare infiniti passati, ognuno del quale ha un passato da sognare come migliore. Questo mi ha fatto rivalutare il film. Il messaggio è semplice, chiaro, e proprio spiattellato (questo è buono). Rissumendo tutto in una frase:

 

"Non è mai troppo presto per sentirti in ritardo"

(e il tempo non è quello che siamo immersi, ma quello che condividiamo con chi ama il tempo che amiamo)

 

Questo è bello - sino al coup de teatre del pedinatore finito in un passato sin troppo infausto per lui. Bello che Lautrec sognasse la Rinascenza (come si chaimava un tempo, per la cronaca, anche in italiano) e cose varie. Tutto sommato è bello, nevvero? Perché ognuno ha la sua girella, e certi persino pensano che sapori mai provati, solo narrati, debbano essere ancor più sublimi.

 

Ahimé, caduta di stile finale: lei fedifraga perché così è puttana e può essere cestinata senza che a essere fedifrago di prima intenzione sia il nostro bell'otaku. Tipo Greedo che spara a Han nella Renewal di Star Wars. Too bad, too sad. Triste davvero: la misoginia di Allen era già alle stelle con la cretina in quanto tale, farla anche puttana non era necessario. Veramente un espediente da ragazzino, si sarebbe potuto e soprattutto dovuto evitare.

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Il "problema" di incapsulare infiniti passati e' che cio' che ne risulta non e' neanche una somma degli insiemi ma unicamente Un passato.

 

In questo senso il messaggio che citi manca di una componente essenziale; la nostalgia.

 

Ci sono elementi si' che si vagheggiano, ma non sono in qualche modo vissuti 'rectius' per poter sviluppare nostalgia; si vive si' in un qualche tipo di passato, ma vissuto linearmente nel presente, non possono creare 'nostalgia'.

 

Preferisco pensare al messaggio del film in relazione allo 'stupore'; a quella 'meraviglia', quel 'sense of wonder' che 'fulmina' e rende la vita degna di essere vissuta.

 

Il sense of wonder rispetto a 'icone' del passato, in che modo puo' essere vissuto?

Spesso e volentieri, questa e' la triste realta', quelle persone divenute icone prese nel quotidiano, non erano granche'.

Uno magari puo' pensare di rimanere 'fulminato' se si trova dinanzi ad una persona che ha realizzato qualcosa per se stesso determinante nella propria vita.

La realta' invece e' sempre svilente, senza eccezioni.

 

Arrivati quindi ad una certa eta', ad un certo punto, nel cammino della propria vita, dov'e' quel sentimento dello stupore, dov'e' quello che faceva battere il cuore, dov'e' quel 'noi stessi' che si infiammava dinanzi ad un quadro, ad ascoltare quella musica, a leggere quel libro?

 

La realta' e' che tutto e' bruciato, tutto quell'insieme di cose hanno portato all'odierno.

Tutte quelle cose meravigliose hanno portato, effettivamente, a cosa?

 

La realta' vera e' che tutto cio' che per noi importa od ha importato e' stato un cammino, un percorso, e cio' e' stato realizzato.

Ma nient'altro.

 

Tutti ragioniamo con un obiettivo in mente, ma quell'obiettivo non puo' venir raggiunto; e' un faro che determina questo si' il nostro cammino, la nostra vita, le persone che incontriamo, e quelle che in qualche misura allontaniamo.

E' la strada stessa che percorriamo, cio' che in realta' l'uomo realizza nella propria vita.

 

Ad un certo punto lungo questa strada, ci si trova a fermarsi, a sorridere nella comprensione.

 

E' un libro quello che devo realizzare, o altro non devo fare che mettere su carta in qualche modo cio' che gia' sono?

 

Lo stupore, la meraviglia del fanciullo, si trova da qualche parte, ma fa parte integrante gia' del cammino.

 

Tutto e' oramai bruciato, ma la strada continua ad esserci.

Nostalgia per quanto trascorso, o desiderio di trovare ancora una volta quello stupore che e' fonte di vita e linfa dei sentimenti stessi?

 

Sono solo un uomo, non so per certo cio' che mi frulla nella vita, figurarsi se posso realmente avere conoscenza reale di altro.

 

Cammino quindi su di un ponte come tanti ne ho gia' attraversato, incontro una donna del tipo che ho gia' conosciuto come se fosse da sempre, ma e' li', da qualche parte, che so esistere ancora quello stupore di cui tanto ho necessita'.

 

Un po' parafrasando per me questo e' un po' piu' che il messaggio, il senso di cio' che Allen sta cercando.

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Ho letto con interesse il tuo post, che condivido credo forse appieno, ma sento il bisogno di fare un po' d'oridine.

 

Vediamo se ci riesco.

 

In primis: credo ci sia una differenza tra quello che si chiama 'nostalgia' e quello che è il rimpianto per un passato non conosciuto (perché a noi precedente) ma idealizzato e in questo ambito.

 

Il primo caso, gira e rigira, è il girellismo. Ovvero: l'età dell'oro è l'infanzia, perché è l'età della fascinazione, della sensibilità, della spensieratezza dell'essere che non sa davvero di morire (ovvero, non ha realizzato in piena autocoscienza il concetto della sua morte ventura, la sua finitezza), ed è indi immortale. Dioniso prima di specchiarsi. Il primo morso del panino. I primi anni dell'adolescenza persino, che ancora hanno un piede nella fanciullezza. Quando la fine di qualcosa è così distante all'orizzonte da essere indistinguibile, allora è come vivere qualcosa di infinito. In questo magico momento, si formano i gusti. Anzi, si forgiano. Non dico solo quelli alimentari, no, dico i gusti di tutto. La recettività sensoriale e sensuale e immaginifica del soggetto è massima.

 

Ahinoi, la crescita è inevitabile, arrivare all'altezza del ramo di fico (o mela, per come l'hanno canonizzata) è ineluttabile, e non c'è via di ritorno. La "cacciata dal paradiso" non è altro che il passaggio dallo stadio di coscienza a quello di autocoscienza, che avviene con la prima vera scelta consapevole del fanciullo: ora si dovrà scegliere sempre, sempre si conoscerà il peso della responsabilità delle proprie scelte e, soprattutto, si è divenuti davvero mortali.

 

In questo stadio di adultità, la fanciullezza è il paradiso perduto che sempre ci richiama nelle nostre dolci memorie coscie e inconscie. Suoni, musiche, sapori, idoli. Girelle e Myth Cloth. Tutto.

 

MA, e dico MA, NON credo che Midnight in Paris parli di questo.

 

Credo invece che Allen parli della fascinazione che un ignoto idealizzato porta con se. Un passato reso aureo dalla fantasia di un insoddisfatto del suo presente. Il presente, noto, è sempre banalità. Il futuro, ignoto, è sempre inquietudine. Un passato conosciuto in cartolina è una zona grigia ideale da mettersi su un piedistallo. Come quelli che dicono che durante il Fascismo si stava meglio, e sono nati dopo il '45. Ci sono infiniti casi.

 

Ovviamente, ciascuno si sente 'solo' e 'unico' nella propria miseria. Ognuno pensa al presente come a IL presente, e al proprio passato come a IL passato.

 

Altrettanto chiaramente, nel 'passato totale' che tu giustamente citi, ogni epoca passata ha una sua epoca passata, che per il presente sarebbe forse trapassata, ma non cambia nulla.

 

Ogni presente può essere banale per chi lo vive, e ogni passato è stato presente per i coevi dell'epoca. Credo che il quid di Midnight in Paris sia proprio la presa di coscienza di ciò, e il superamente del senso di banalità del proprio presente nella fluidificazione del proprio passato in una linea temporale continua, in cui il futuro di oggi diverrà il prwesente di domani e il passato di dopodomani, e ogni epoca avrà un domani, un oggi, un ieri, e tutti gli insoddisfatti dell'oggi penseranno che nello ieri si stesse meglio, a catena.

 

Credo che Midnight in Paris si esaurisca in questo secondo ambito, nel protagonista che ambisce un passato realmente ignoto in quanto si sente 'fuori dal (suo) tempo', ma alla fine risolve tutto e capisce che il punto non è quale tempo si vive, ma con chi si condivide il tempo. La sincronia non è nel tempo fuori di noi, ma nella sincronia tra noie un altro essere sincorni, settato sul nostro stesso fuso orario. Forse. E infatti il protagonista NON segue la via dell'amica che resta nel trapassato, ma torna al suo presente dove trova l'amore.

 

 

Per il resto, ovvero che nella crescita il senso di fascinazione che nasce dalla verginità sensuale del fanciullo lascia il passo a un senso di mesto blasé, beh, è certamente come tu dici.

 

Conosco bene questo tipo di sentimeno, e personalmente lo combatto da molti anni cercando il "meraviglioso" nel "banale", ogni giorno, ogni giorno.

 

Vivo ogni giorno sorprendendomi che aprendo un rubinetto esca dell'acqua.

 

E torno sempre negli stessi posti che amo, in vancaza, perché essenzialmente credo che godere dell'inebriante entusiamo della scoperta sia un biglietto di sola andata per la disperazione.

 

Insomma, ho in mente l'idea che la morale del seduttore sia dannazione. Non vale solo per le donne, ma per ogni tipo di 'conoscienza'.

 

Ci riflettei ai tempi del liceo, quando mi chiedevo come mai una cartuccia del MegaDrive fosse WOW e un gioco copiato per l'Amiga fosse MEH.

 

Poi quadrai con l'insegnamento del Fennec, con Kierkegaard, e tutto mi tornava.

 

Credo che imparare a trovare la gioia nel mezzo tiepido di noto e ignoto sia una linea di condotta a un essere medio e mediocre quale l'essere umano.

 

"Est modus in rebus", nevvero, caro Shuji? :)

Modificato da Shito
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Ho letto con interesse il tuo post, che condivido credo forse appieno, ma sento il bisogno di fare un po' d'oridine.

Vediamo se ci riesco.

 

In primis: credo ci sia una differenza tra quello che si chiama 'nostalgia' e quello che è il rimpianto per un passato non conosciuto (perché a noi precedente) ma idealizzato e in questo ambito.

 

Il punto e' proprio questo; come fai a rimpiangere qualcosa di non conosciuto prima?

 

Noi ci possiamo informare sulla storia di quanto accaduto nel passato, col tramite di storici e romanzieri, ma non possiamo provare 'rimpianto' per una strada che non abbiamo mai avuto la possibilita' di percorrere.

 

Ragion per cui, mettendo da parte il discorso 'girellismo' che e' nato in pratica con lo scopo ben preciso di prendere per il culo qualcuno di specifico e non di creare categorie speciali, a maggior ragione (parlando anche nello specifico terminologico), senza quel sentimento di desiderio e nostalgia non ci puo' essere rimpianto. (E per inciso, la nostalgia non c'entra nulla con le girelle).

 

E io insisto sul nostos-algos, in quanto e' presente la 'radice' del dolore, di un senso di appartenenza perduto.

 

Lascia perdere quindi questa tutta particolare (e mai codificata ab origine) questione di nostaglia e girelle, di infanzia perduta, di crescita etc.

 

Inoltre, quanto affermavo io e' differente; io citavo nello specifico che non vi puo' essere rimpianto senza nostalgia; posizione certo un po' estremizzata, quantunque sul filo del filologicamente corretto.

 

MA, e dico MA, NON credo che Midnight in Paris parli di questo.

 

Credo invece che Allen parli della fascinazione che un ignoto idealizzato porta con se. Un passato reso aureo dalla fantasia di un insoddisfatto del suo presente. Il presente, noto, è sempre banalità. Il futuro, ignoto, è sempre inquietudine. Un passato conosciuto in cartolina è una zona grigia ideale da mettersi su un piedistallo. Come quelli che dicono che durante il Fascismo si stava meglio, e sono nati dopo il '45. Ci sono infiniti casi.

E quindi il film sarebbe di natura escapista; se per un 'rimpianto' e' necessario un certo tipo di 'forma mentis' che il film non offre specie attraverso il suo protagonista, il cinema di Allen 'riflette' troppo su se stesso e sugli altri per cercare od offrire un qualche tipo di evasione dalla realta'; lo stesso 'meccanismo' con il quale il protagonista 'entra' nel passato, a tutti gli effetti non e' qualcosa di 'altro' da se, ma rappresenta un insieme dotato di concretezza e di consequenzialita' con l'attuale del protagonista, che inoltre diventa in un dato momento il momento e il tempo.

 

Ogni presente può essere banale per chi lo vive, e ogni passato è stato presente per i coevi dell'epoca. Credo che il quid di Midnight in Paris sia proprio la presa di coscienza di ciò, e il superamente del senso di banalità del proprio presente nella fluidificazione del proprio passato in una linea temporale continua, in cui il futuro di oggi diverrà il prwesente di domani e il passato di dopodomani, e ogni epoca avrà un domani, un oggi, un ieri, e tutti gli insoddisfatti dell'oggi penseranno che nello ieri si stesse meglio, a catena.

 

E questa sarebbe nostalgia, appunto.

 

Comunque, io non vedo vagheggiare alcunche' in questo film.

 

Non vedo nostalgia, desiderio per un certo passato, desiderio di vivere nel passato, non vedo proprio il 'desiderio' limitatamente a questo.

 

Il concetto stesso del tempo messo in piedi da questo tipo di narrazione, anzi, tende anche a mettere alla berlina la rappresentazione stessa del tempo intesa cosi' schematica e ricorsiva; il protagonista vive un senso di inadeguatezza e ha il 'piacere' di parlare con i propri miti personali, ma in quanto tali, non in quanto 'ricordi'; del resto parlano anche di argomenti triviali, e non solo legati ai 'personaggi' nello specifico.

 

Allen tende sempre a ridicolizzare usi e costumi.

Cosa di piu' allettante di prendere in giro le proprie stesse preferenze personali e i propri miti.

 

E come al solito, in questa opera di atodistruzione limitata, cio' che resta dell'uomo e' poca cosa.

 

A volte agiamo per mera convenzione sociale, e tagliati quei fili, resta poco cui aggrapparsi in qualche modo.

 

Scrivere o realizzare delle opere, a volte viene visto come la massima espressione personale; la maggior parte delle volte non e' cosi', la maggioranza delle volte, questo si, e' espressione delle miserie personali.

 

Lo 'stupore' informa momenti ben precisi e mai razionalizzabli ed individualizzabili della vita, ma non e' quel 'fuoco' che divampa nel creare e distruggere insieme.

 

Che fine ha fatto quello stupore nello scoprire la filosofia, come puo' questa aver potuto stupire in qualche modo, se le persone che vi stanno dietro altro non sono che tanti noi stessi con esperienze e altrettante miserie.

 

 

Credo che imparare a trovare la gioia nel mezzo tiepido di noto e ignoto sia una linea di condotta a >un essere medio e mediocre quale l'essere umano.

 

"Est modus in rebus", nevvero, caro Shuji? :)

 

Con gli anni si scopre che molti sentimenti sono sopravvalutati, cio' stesso che in qualche modo si vagheggia e' sicuramente idealizzato. Credo che l'uomo abbia bisogno del suo prossimo non tanto per istanze di natura sociale, quanto per capire.

La vera ricchezza del genere umano e' l'infinita varieta' di punti di vista; da qualche parte c'e' quello giusto che ci permettera' di capire meglio anche noi stessi.

 

Il problema e' che spesso, per voler capire, si da' per scontato il vivere.

 

L'inadeguatezza del protagonista del film proviene da una stanchezza del vivere.

Di scrivere.

Di parlare con gli altri.

 

Fin quando finalmente nulla ha piu' importanza.

 

Perche' alla fine, nulla ha veramente importanza.

 

Perche' tutto e' qui, ed ora.

 

E se non lo vedo, e' perche' e' talmente piccolo da rendere paradossale il termine 'importanza' con il quale lo mantavo.

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  • 9 months later...

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