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Sempre Takahata, ricordi e memorie, ancora Taeko e Kaguya, otaku e hikikomori, e le mutande di Mimiko e Kiki


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NOTA: la parte centrale di questo articolo è stata integrata nell più lungo e completo minisaggio sul cinema e il messaggio di Takahata Isao, ovvero "non si deve fuggire!" - che dovrò peraltro tradurre in inglese per il mio corrispondente filosofo giapponese.

 

L'ulteriore punto di riflessione da cui nascono le riflessioni che spero di andar qui ad ordinare, elaborandole, è incentrato intorno ai miei interessi/studi socio-psicologici dei "disturbi della postmodernità", in particolare le tendenze otaku e hikikomori nell'età dello sviluppo. Qualcuno ricorderà forse (?) che ebbi a discorrere de visu col dottor Saitou Tamaki, e questo accadeva a Catania, ormai molti anni fa. Il dottor Saitou era, e credo sia ancora, convinto che la tendenza otaku e quella hikikomori siano cose diverse. Anzi, ai tempi - non so ora - pensava che rivolgere un hikikomori a una tendenza otaku potrebbe essere una via di cura.

 

Ho elaborato e studiato un po'. Ho scoperto che esiste una seria associazione italiana dedicata al fenomeno hikikomori, di cui linko qui un breve articolo che ritengo interessante, inerente ai legami tra lo hikikomori e la cosiddetta "depressione esistenziale":

 


 

Cito da una citazione dello psicologo James Webb:

 

"[...] le persone più brillanti sono in grado di concepire come le cose potrebbero essere, tendono a essere idealiste. Tuttavia, allo stesso tempo, si rendono conto di come la realtà non rispecchi i propri ideali. Sfortunatamente, riconoscono anche che la propria capacità di provocare cambiamenti sul mondo è molto limitata. [...] provano delusione e frustrazione per questo. Notano disonestà, finzione, assurdità e ipocrisia nella società e nei comportamenti delle persone che li circondano. Sfidano e mettono in discussione le tradizioni, soprattutto quelle che sembrano loro inutili o ingiuste."

 

Cito dalle conclusioni dell'articolo (grassetti dell'autore originale):

 

Ci troviamo in un periodo storico nel quale la depressione esistenziale è favorita da numerosi fattori, come, ad esempio, dal crollo dei dogmi religiosi, oppure da una concorrenza sociale e da una corsa al successo personale sempre più sfrenata e ingiustificata.

 

In altre parole, il contesto socio-culturale di oggi potrebbe portare i giovani più sensibili e riflessivi a interrogarsi a fondo sul significato dell'esistenza, arrivando contestualmente a mettere in discussione anche il modello di vita contemporaneo. Alcuni di loro potrebbero sperimentare una perdita di senso, non trovando motivazioni nel perseguire gli obiettivi "materiali" tipici della società moderna, sfociando così in un tunnel di confusione, apatia e demotivazione, che a sua volta li condurrà, in alcuni casi, alla scelta dell'isolamento.

 

Personalmente trovo tutto questo molto logico e condivisibile. Se pensiamo ad Azuma Hiroki, ovvero a Kojève (in combo con Postmodernità animalizzante), oppure a Murakami Takashi (Little Boy), stiamo dicendo sempre la stessa cosa: esistono persone che non ce la fanno proprio a vivere per consumare, ovvero — passatemi il francesismo — a mangiare per cagare. Il modello consumistico statunitense postmoderno insegna, predica, induce, spinge esattamente a questo. Eliminando ogni grande narrazione, ogni valore trascendente, di ogni tipo, porta gli essere umani a un vuoto esistenziale in cui si vive per vivere. In realtà, non sarebbe una cosa nuova. Voglio dire, l'illuminismo, annientando l'idea religiosa (che è una grandissima narrazione, assai trascendente), diceva che il fine della vita umana è "la bonheur", ovvero la serenità, la gioia. Quindi, il fine, e indi il senso, della vita umana sarebbe vivere bene, passarsela bene in vita. Finché si vive, perché poi si muore. E se non si crede in alcuna immortalità dell'anima, che poi è un nome per quel concetto ancor più lato ma meno trascendente che è la psiche o l'io, tutto finisce nell'oblio. Quindi il senso della vita sarebbe più o meno una presa in giro, aspettando Godot, ma intrattenendosi piacevolmente nell'attesa. Ebbene ci sono persone che non riescono a convivere con questa cognizione che è nichilista, sì, ma è di un nichilismo non materico, non è un anti-egotismo: è un nichilismo trascendentale. Per esempio, ricorderete che Miyazaki Hayao — proprio lui — nel docufilm Il regno dei sogni e della follia dice chiaramente: "Il fine della vita è la felicità... il fine della vita è essere felici. Aaah, io proprio non riesco a vivere pensando così."

 

Il che volendo ci riporta a Kojève, e alla sua "epifania giapponese". Ovvero, quando Kojève giunse in Giappone vide nell'atteggiamento "snobistico" giapponese una "risposta di sopravvivenza" alla "fine della storia" (hegeliana) di un popolo, quello giapponese, per natura poco incline a accettare l'idea di vivere per consumare, mangiare per cagare (sempre in francese, eh!). Quindi, lo "snobismo" giapponese avrebbe naturalmente indotto alla creazione di formalismi sì vacui, ma pure utili a "sostituirsi" alle grandi narrazioni decadute con la fine della storia.

 

Secondo Azuma Hiroki, questa dinamica è la stessa alla base della mentalità otaku, dove il "formalismo" di servizio è quello di narrazioni di finzione o metanarrazioni.

 

In questo senso, ogni tipo di formalismo sarebbe un tentativo umano di "crearsi un fine trascendente", ovvero di creare qualcosa "fuori dal sé" che valga più del sé. Qualcosa per cui si possa morire, ovvero qualcosa per cui vivere. Dio, l'Imperatore, la storia dell'arte o un artista, o un'opera d'arte, o l'ossequio a un rituale o un romanzo, un cartone animato, un videogioco. QUALCOSA che possa essere un totem di trascendenza. Qualsiasi cosa. È molto shinto, a pensarci, ma davvero credo ci siano persone che hanno bisogno di qualcosa di "più importante di loro" fuori da loro per trovare la forza e la spinta alla vita. Credo che taluni artisti abbiano (inconsciamente) fatto arte per questo, che molti umani facciano (inconsciamente) figli per questo, e forse io sto (semiconsciamente) scrivendo questo articolo per questo stesso motivo.

 

Tornando così a Saitou Tamaki, alle differenze tra otaku e hikikomori, io vorrei piuttosto sottolinearne le affinità.

 

Ovvero, personalmente credo che l'otaku e lo hikikomori siano due diverse risposte allo stesso tipo di disagio.

 

Il disagio è chiaramente quello che abbiamo delineato sinora: la necessità di un'idealità in un mondo sociale che ha deposto, distrutto e spregiato ogni ideale, da cui l'incapacità, l'impossibilità di vivere per vivere (incominciate a sentire aria di Takahata Isao?).

 

Se a questo fattore A, che chiameremo "movente", il fattore B, che chiameremo "condizione", secondo me le risposte psicogene possibili sono otaku e/o hikikomori. La "condizione" è una pregressa esperienza infantile in qualche modo confortante. Non dico necessariamente "felice", dico anche solo "confortante".

 

Mi spiego: Saitou Tamaki argomentava che l'hikikomori si mostra solo in società a forte organizzazione familiare, quali quelle giapponese e sudcoreana e quella italiana. Dico davvero, me l'ha detto in faccia. Il confucianesimo giapponese e sudcoreano pone la pietà filiale al centro dei valori familiari, e il cristianesimo italiano a suo modo fa altrettanto. Ne risultano società il cui nucleo fondante è una famiglia dai forti legami di dipendenza affettiva e poi materiale, assistenziale - in giapponese "amae", o "amaeru".

 

Nello sviluppo intellettivo del fanciullo, il bambino passa da uno stadio di egocentrismo puro, pressoché animale (il lattante impotente piange per flettere a suo favore la realtà che lo circonda), a un egocentrismo mediato (il bambino nel suo alveolo familiare, che è la sua microsocietà), a un egocentrismo sfumato (il fanciullo nella microsocietà scolastica, comunque "protetta") sfociando infine al nichilismo di una società reale adulta, i cui rapporti sono di forza e convenienza reciproca, do ut des, non affetto. In teoria, a questo punto l'adulto dovrebbe vivere ed elaborare il trauma/lutto della solitudine esistenziale riscoperta, e quindi fondare una microsocietà sua propria, una sua famiglia, in cui valgano i rapporti di interdipendenza affettiva (tra coniugi e tra genitori e figli).

 

Chiaramente, la postmodernità sta distruggendo tutto questo modello, propugnando un mondo di "tutti uguali tutti soli in compagnia", deponendo il valore consolatorio, a livello esistenziale, degli "affetti speciali". Ma questa è forse un'altra storia, anche un po' troppo politicizzante, quindi lasciamo stare.

 

Il punto qui è che se un fanciullo è nato e cresciuto in un modello familiare pietistico e pieno di dipendenze comunque soddisfatte (fattore-B, condizione), e ed quel tipo di soggetto sensibile e tendenzialmente idealista che si scontra duramente con una realtà ormai depauperata di puntelli esistenziali (fattore-A, movente), avrà giusto due strade di sopravvivenza:

 

1) escapismo nella finzione, nella formalismo fittizio di piccole narrazioni fatte grandi per gioco = OTAKU

 

2) rinuncia e chiusura totale, asserragliamento nel proprio grembo familiare d'origine = HIKIKOMORI

 

Alla base c'è sempre un fanciullo sensibile, fragile, forse a suo modo coccolato e viziato nella famiglia che l'ha espresso (a suo modo), che proprio non ce la fa a trovare una spinta di crescita in una società di adulti che nega tutto, non propone alcun valore, se non il non-senso di vivere per vivere, ovvero vivere per agonizzare seppur piacevolmente sino alla morte.

 

Chiaramente, anche per me otaku e hikikomori sono cose diverse. Un hikikomori è ancora più fragile, ferito e inabile alla vita di un otaku. Un otaku cerca a suo modo una scappatoia, come forse in tempi antichi facevano i letterati, i filosofi, gli artisti, e tutti quei sensibili intellettuali che esercitavano l'intelletto non per trarne pane, ma sollievo esistenziale - un fine trascendente posto e creato dall'io stesso che ne abbisogna per la sua stessa sopravvivenza. Un hikikomori invece non ce la fa, è ancora più debole, ovvero totalmente debole. Non può che fuggire a rinchiudersi, anche fisicamente, neppure in un fittizio "mondo ideale", ma in un mondo fisico di reclusione reale.

 

Quindi, se è vero come ora credo che quella dello hikikomori sia una risposta esistenziale ancor più tragica e grave di quella dell'otaku, possiamo immaginare il pur non necessario caso di un otaku che si aggrava in hikikomori, e capire l'idea di cura del dottor Saitou che immagina di usare lo stadio otaku come "regressivo" per gli hikikomori.

 

Il che, infine (wow!), ci porta di nuovo a Takahata Isao.

 

Takahata Isao, che in vita ha conosciuto la morte (ricordo sempre: "ha vagato per giorni nei campi carbonizzati e nessuno gli ha dato neppure uno stelo di patata" — un modo molto netto per troncare ogni idea o ideale di umana dipendenza affettiva [amaeru], no?),  insiste sull'accettazione della vita per l'esperienza di vita. Non si tratta, come per l'illuminismo (che pure Takahata conoscerà bene, essendo laureato proprio in lingua ovvero cultura francese) di "vivere per la felicità in vita", ma di "vivere perché la vita, nelle sue gioie e nei suoi dolori, è tutto ciò che siamo chiamati ad esperire". Non è quindi "siamo nati per gioire", ma "siamo nati per gioire e soffrire".

 

Sono punti su cui mi interrogo sempre.

 

Qui ora vorrei infine integrare quanto scritto in "Non si deve fuggire!" con due riflessioni.

 

La prima riflessione è su Ricordi a Goccioloni, ovvero Omohide PoroPoro, ovvero un riflesso di Taeko.

 

E' una cosa che mi era sempre sfuggita, credo, o comunque non avevo mai messo sufficientemente a fuoco. Potrebbe invero essere qualcosa di molto banale, ma ricordate che sono tardo. Ed è per me difficile da esprimersi, forse è quasi una sensazione, ma ci provo così. La Taeko adulta, che è un personaggio tutto di Takahata, va in campagna non per vivere la campagna, ma per "giocare alla campagnola", ovvero "inaka-gokko", così come Seita va nella grotta a "giocare alla famiglia" (kazoku-gokko). Sono un cretino perché in realtà questa cosa nel film viene pure detta chiara e tonda, in quel passaggio cruciale che sono le riflessioni di Taeko quando "fugge" dalla casa paterna di Toshio, prima di venire raggiunta da lui in auto. Siccome poi c'è tutto il punto dei ricordi infantili di lei, di Abe e della risoluzione del suo trauma pregresso, molto freudianamente almeno io mi sono sempre appuntato su quello, come dire "ecco, lo psicanalista Toshio ha sciolto il nodo ancora non-elaborato, ora tuttapposto". Stupido io. Il punto ora mi sembra tutt'altro. Sin dall'inizio del film (che è ancora farina del sacco di Takahata al 100%, eh), Taeko "non sta vivendo la sua vita". Ovvero, fa l'impiegata single in una ditta, tutta brava e cortese, vive in un appartamentino da sola, guarda il gatto sul balcone... ma è come in una moratoria di adolescenza, no? E' come una ragazzina "nella sua cameretta", se ci pensate. Sta forse vivendo la sua vita? No. E' come in una vacanza scolastica che si chiama "finta adultità", è in una condizione di moratoria. E infatti non fa che pensare al passato, all'infanzia, e ancora "fugge" in quel "diletto da otaku" che è per lei "la campagna", una fissazione infantile. Va ancora a fare le vacanzine che voleva fare da bambina, e nulla più. E NULLA PIU', il punto è questo. E come dicevo, che lei stia solo "giocando alla campagnola" (inaka-gokko) lei lo comprende, se ne capacita dandosi addosso mentalmente in quella fuga lacrimosa, e bisogna riflettere che quel treno di pensieri si conclude col fatto che "si erano accorti tutti che io non avevo alcuna capacità di cambiare la mia vita". Come dire: sei ancora la figlia della tua famiglia, dei tuoi genitori, che aspetta il cambiamento dall'esterno, non sei un'adulta padrona di sé. DLIN-DLON!

 

Sì, Toshio scioglie un nodo, forse il nodo, nell'infanzia di Taeko. Toshio risolve Tabimba. Ma Taeko si risolve da sola, in treno, con Tabimba che le tira il braccio, quando ROMPE lo schema dalla sua vita imperniata su uno schema di moratoria indefinita, molla tutto, e si butta nel vuoto tornano da Toshio per restarci. In questo senso, davvero il testo della canzone che suona in sottofondo in quel momento ha tutto un senso, vero?

 

La seconda riflessione è su La storia della Principessa Splendente, ovvero un riflesso di Kaguya/Principessa.

 

Nell'articolo "Non si deve fuggire!" avevo già argomentato a lungo sul contenuto di questo film. E anche queste due riflessioni le ho poi reintegrate lì. Ma qui il particolare resta: vi ricordate che lì dicevo che Kaguya prima "fugge" dalla crescita in società (prendere marito) mandando giocosamente a spasso i suoi ridicoli pretendenti e dilettandosi nel suo giardino/diorama, poi dopo la morte dell'ultimo pretendente distrugge tutto e resta "semplicemente depressa". Ricordate?

 

Se ci penso adesso, la prima fase che ho ora riassunto mi sembra quella dell'otaku - il diletto del diorama, come una collezione di modellini dei cartoni animati dell'infanzia, no? In fondo anche Kaguya aveva avuto un'infanzia serena e protetta in campagna. Anche da poveraccia, certo, ma per lei serena e accudita, tanto basta. La seconda fase, che inizia con la distruzione del diorama, mi pare la condizione dell'hikikomori. E finisce con un suicidio.

 

Sembra proprio il radicalizzarsi della fuga, della fuga della crescita in società che è la vita, e finisce con la morte autorichiamata sul sé.

Come per Seita, proprio come per Seita. Che invece che fare il bambino della sua famiglia che non c'era più sarebbe dovuto crescere un po' anzitempo in un giovane uomo per sua sorella e per sé stesso, no? E sopportare le durezze della vita in tempo di guerra, da orfano poi, per sopravvivere e così vivere. Certo, "facile a dirsi", direte. Ma non sto qui accusando una persona vera, qui si parla di letteratura e del bene di riflessione e insegnamento che può discendere dall'analisi e dalla comprensione della buona letteratura.

 

Il che, per esaurire il titolo di questo topic, ci porta a quello che è sempre più il mio film preferito di Miyazaki Hayao, ovvero Le consegne  espresse della strega (Majo no Takkyuubin).

 

Sono sempre più convinto che in questo film fosse rimasto attaccato al cervello di Miyazaki qualcosa di Takahata. Insieme ai paesaggi svedesi, forse. I due erano andati in Svezia molti anni prima, per chiedere a Astrid Lindgren i diritti di Pippi Calzelunghe — che come sappiamo gli furono negati. Pare che Miyazaki adori Astrid Lingren, e tutta la narrativa di Miyazaki è piena della Lindgren - se credete che il mondo dei maschi bambinoni e delle donne mature e materne sia farina del sacco di Miyazaki provate a leggere Ronja la figlia del brigante.

 

Sappiamo che dal progetto di Pippi Calzelunghe, mai realizzato, Miyazaki avrebbe poi tratto l'immaginario grafico di Panda Pandino (Panda Kopanda). La regia lì è di Takahata, però. L'avete mai visto? Se non l'avete fatto fatelo, perché per Miyazaki Hayao quella è stata un'opera totalmente sminale. A parte il primo uso di quel famoso "mononoke" — il gattone selvatico immaginato da bambino leggendo il racconto di Miyazawa Kenji "Il gatto selvatico e le ghiande" e poi tradotto in storia illustrata — ovvero l'immagine che diverrà poi Totoro, in Panda Pandino c'è già proprio tutto Totoro, il film. E non dico solo Papanda, che ovviamente è Totoro, ma dico anche Mimiko e Pandino, che sono rispettivamente Satsuki e Mei, ovvero sono Satsuki e il totoro azzurro (quello medio) più Mei. Buffamente, in Panda Pandino c'era già anche una buona metà di Ponyo, che del resto è l'altra opera più schiettamente dedicata all'infanzia da Miyazaki, ma c'era anche parecchio di Laputa e di Holmes (gli inseguimenti!). Magari ci siamo capiti.

 

E Kiki, allora che c'entra?

 

Mimiko, che sarebbe Pippi, quando è felice fa la verticale di scatto e mostra così le sue mutandine (porta la gonnellina). Credo sia un'espressione fisica di gioia che ricorda, in Takahata, quando Heidi/Shoukichi/Kaguya di spogliano "delle vesti della civiltà" tornano alla loro emotiva naturalità.

 

Miyazaki questa cosa non so come l'abbia recepita (scherzo), ma davvero Kiki mostra le mutande ogni 3x2, e in Giappone l'hanno sempre notato, saputo, e persino hanno sempre criticato l'autore per questo. Al punto che Miyazaki una volta rispose: "per Kiki, mostrare le mutande è l'estremo rito di passaggio verso l'adultità" - tipo.

 

Ma scherzi a parte, Le consegne espresse della strega è davvero una storia di crescita. È la storia di una bambina campagnola, figlia unica viziata che si sente speciale nella sua microsocietà, che per crescere viene buttata da sola in una società molto più grande dove non è nessuno, e la società è una delusione, c'è giusto qualche persona decente ma la maggioranza sono persone odiose, insignificanti e menefreghiste al punto che per depressione Kiki si ammala e manda a quel paese anche qualcuna delle poche persone decenti che aveva trovato. Storia di vita, la storia della durezza dell'accettare che sì, il mondo non è la tua famiglia, e tu una tua famiglia puoi semmai sperare di costruirtela con le tue forze, ma è la cosa più dura.

 

Storia tratta da un romanzo di Kadono Eiko (una donna), ma messa così sembra una storia di Takahata, eh?

 

Anche perché la "crescita" di Kiki è una vera e propria "crescita sociale", che passa per la trasformazione di un diletto infantile — il volo della strega che si sente fighetta con la radiolina di papà — in un mestiere reale, ovvero un ruolo produttivo nella società adulta: fare le consegne, per chi le richiede, da una vecchietta amabile a una ragazzina petulante, è lavoro. E Kiki perde l'amore per il suo gioco infantile al punto che non le riesce più. Finché non ne avrà un CATEGORICO BISOGNO ASSOLUTO, per salvare l'amico. Oh, capiamoci: Kiki stava facendo i capricci. "Non gioco più!" - e porto anche via il pallone dal campetto, perché siete tutti brutti e cattivi e io non gioco più. Solo che a nessuno importa niente se non giochi più, non c'è la mamma a compiangerti. Brutta la vita adulta, eh? Storia di crescita. In questo Miyazaki è stato un genio a inserire il casus del dirigibile, la vita di Tonbo appesa a un filo, perché spesso la risoluzione di una stasi traumatica è una necessità ancora più traumatica.

 

Bello bello bello. Il più 'takahatiano' di tutti i film di Miyazaki, se chiedete a me. Il più relistico e vero, e anche il meno idealista. "E benché io sia stata anche depressa, a me questa città piace!", ricordate? In effetti il lieto fine di Kiki è il lieto fine di una bambina che ha smesso di essere una bambina. Che è passata dall'essere una pseudo-otaku di campagna attraverso l'essere una pseudo-hikikomori di città, e poi è cresciuta.

 

E Tonbo, oh, lui è un otaku. Solo che non è lui a salvare Kiki. Non è il suo volo a salvarla. Tonbo salva Kiki perché "ha bisogno di essere salvato".

 

Anche su questo, c'è moto da riflettere. Ho molto da riflettere.

 

Per poi tornare al pensiero di Takahata, ed elaborare infine il tema dei ricordi (a goccioloni) e delle memorie (della vita).

Edited by Shito
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"[...] le persone più brillanti sono in grado di concepire come le cose potrebbero essere, tendono a essere idealiste. Tuttavia, allo stesso tempo, si rendono conto di come la realtà non rispecchi i propri ideali. Sfortunatamente, riconoscono anche che la propria capacità di provocare cambiamenti sul mondo è molto limitata. [...] provano delusione e frustrazione per questo. Notano disonestà, finzione, assurdità e ipocrisia nella società e nei comportamenti delle persone che li circondano. Sfidano e mettono in discussione le tradizioni, soprattutto quelle che sembrano loro inutili o ingiuste."

[/i]

 

Mi permetto di fare un'annotazione a questa citazione. Tu individui giustamente come tutto ciò porti a diventare hikikomori, otaku o entrambi.

Ma come testimoniato negli ultimi anni ed anche messo in scena in alcuni anime, c'è anche una terza possibilità: diventare chuunibyou.

Il chuunibyou comprende com'è la realtà. Ma non l'accetta per se stesso. Il suo ideale infantile lo sorregge a dispetto di tutto. Vuole essere l'eroe delle favole. Solo che, citando un'osservazione del buon Akirasakura, "l'infanzia portata a forza nell'adultità produce mostri". L'hikikomori si isola, l'otaku si distrae con video e balocchi. Ma il chuunibyou non accetta. E quindi potrebbe reagire in modo violento.

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Prima c'era stato Mishima, che dopo aver perso la sua occasione in guerra, pieno degli ideali del giappone pre-ricostruzione/boom economico/occidentalizzazione, pian piano schifato dalla realtà in cui viveva prima fondò il Tate no kai in cui rifugiarsi, e infine si suicidò come atto ostile al Giappone che si stava via via trasformando in qualcosa per lui inaccettabile. 

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  • 3 weeks later...

Non mi sembra 'sta gran scoperta quella della sagoma dell'aereo (che direi chiaramente un B-29) si vedeva perfettamente anche senza paciugare con photoshop

 

https://www.mymovies.it/film/1988/unatombaperlelucciole/poster/5/

 

se non sei cieco...

 

 

In questo già è meno evidente

 

https://www.mymovies.it/film/1988/unatombaperlelucciole/poster/3/

 

ma ci vuol poco per accorgersene

 

 

 

Immagine usata per la cover del vecchio DVD Yamato Video

 

http://www.samana.it/moviecatalog/dettagliocopertine.asp?id=2016&cover=1

 

anche per il libro pubblicato dai KB

 

http://www.kappalab.it/libri/34-la-tomba-delle-lucciole-9788885457140.html

 

 

curiosamente tale sagoma però è piallata via scurendo in nero lo sfondo per i nuovi BD Yamato Video

 

https://www.ibs.it/tomba-delle-lucciole-film-isao-tokahata/e/4020628858025

Edited by Alex Halman
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Lo posto qui perché riguarda Una tomba per le lucciole e perché Shito o Garion potrebbero dirci qualcosa di molto più utile o interessante dell'articolo nel caso

 

Ti dico che sono stufo di leggere che La tomba delle lucciole è un film che denuncia gli orrori della guerra. Nel film la guerra è un mezzo, non il fine.

Ma è inutile perdere tempo a sgolarsi per spiegare...

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Personalmente non avevo mai notato la sagoma della Fortezza Volante in quella locandina, ma del resto online si è sempre trovata in una qualità parecchio bassa.

 

La presenza della sagoma non è che cambi nulla, però. Non si tratta di un messaggio criptico, semmai tutto il contrario: nel film come nella locandina la guerra è davvero un'ombra sul fondale della vita dei due ragazzi, e della condotta di Seita, che come Takahata ripetè fino allo stremo è l'unico vero punto focale del SUO film. :-)

 

Quanto al discorso dei particolari kanji con cui viene scritto "hotaru"in 火垂るの墓, certo col giapponese sono sempre possibile molti richiami semantici, ma:

 

ホタルの語源・由来
ホタルの語源には、「ほたり・れ(火垂)」の転、「ほてり・れ(火照)」の転、「ひたる(火足)」の転、「ほたる(火立る)」の意味、「ほしたる(星垂)」の意味など諸説ある。
これらの説は、ホタルの特長である「光」を基本に考えられており、「ほ」を「火」の母音交替形とする点でも一致していることから、ホタルの「ホ」については「火」と考えて間違いないであろう(「星」の「ほ」も「火」が語源と考えられている)。
ホタルの「タル」については、「火垂」や「火照」の説が有力とされているが、どれも決定的ではないため未詳である。

 

Inoltre e soprattutto, è necessario ricordare che 火垂るの墓, scritto così, è il titolo del romanzo originale da cui il film di Takahata è tratto.

 

https://ja.wikipedia.org/wiki/%E7%81%AB%E5%9E%82%E3%82%8B%E3%81%AE%E5%A2%93

 

La particolare scelta di scrittura deve quindi ascriversi a Nosaka Akiyuki, non a Takahata Isao.

Edited by Shito
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  • 1 month later...

Trovata un'immagine decente della locandina/poster in questione:

 

https://pmcdeadline2.files.wordpress.com/2018/04/grave-of-the-fireflies.jpg

 

direi che non c'è nulla d'occulto, perché in qualità normale è tutto palese. Che ci sia la sagoma del bombardiere, che ci siano lucciole che salgono e lapilli che cadono.

Edited by Shito
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  • 2 months later...

 Lo

Quello che riporta Garion è vero, perché è un dato di fatto.

 

Altra cosa nota e verificata dalle voci degli interessati è che i lavori di Mononoke Hime furono moltopesanti (eufemismo) per gli animatori. Celebre è la riunione in cui, per far fronte ai ritardi, Miyazaki chiede *esplicitamente* ai collaboratori di "rinunciare alla propria vita privata, in un ultimo sforzo produttivo - per poter poi così raccontare in futuro quanto fosse duro realizzare dei film animati interamente a mano" (anche le finiture essendo fatte a mano, Mononoke Hime ultimo caso in Ghibli).

 

Inerentemente all'articolo linkato da Godai, lo stavo studiando da un paio di giorni.

 

Ovvero, stavo studiano la fonte (citata nell'articolo), un'intervista di Suzuki Toshio pubblicata dentro a un libro su Kaguya-HIme no Monogatari.

 

Seguendo il link nell'articolo inglese, si trova l'intervista in questione. Tre parti per otto pagine in totale (2-3-3). L'ho letta tutta.

 

Devo dire che l'articolo inglese non mente, ma riportando fatti sporadici e usando la traduzione in modo a volte un po' discutibile enfatizza il lato drammatico di un discorso che personalmente "sento" con la voce e l'incedere di Suzuki, e il suo modo di raccontare cose molto "generali" tramite episodi particolari.

 

Non è semplice, secondo me, leggere correttamente quell'intervista.

 

Io lo sto facendo perché sto scrivendo un mio saggio lungo su Takahata - ovvero sugli ultimi suoi cinque film.

 

Il mio concetto di "fonte" è molto stringente, perché la mia logica esegetica delle fonti è di formazione giurisprudenziale. Quindi per me è:

 

1) viva vox dell'interessato

2) testo scritto dall'interessato

3) trascrizione della voce dell'interessato

4) viva vox di persona molto vicina all'interessato

5) testo scritto di persona molto vicina all'interessato

6) trascrizione della voce di persona molto vicina all'interessato

-----------------------------

tutto il resto non mi interessa. Libri scritti da altri, o che, sono per me zero. Le loro fonti, se dichiarate, hanno per me valore solo se posso verificarle in prima persona e rientrano nei miei livelli 1-6.

 

 

Quindi per me questa fonte è valida, perché è di livello 6.

 

Quello che dice Suzuki nell'intervista va a incrociarsi con molte cose. I "dietro le quinte" di tutti i film Ghibli fatti da Takahata, più quello che dicono ancora Suzuki, Miyazaki e altri in varie sedi video, audio e testuali.

 

Ci sono parti dell'intervista molto interessanti. Soprattutto perché essendo stata raccolta a posteriori della morte del regista, sembra molto un "vuotare il sacco".

 

Magari scriverò qualcosa in seguito, mi aiuta ad ordinare le idee e a elaborarle. :-)

 

Frattanto, la parte su Kondou Yoshifumi è questa:

 

 

「高畑さんは僕のことを殺そうとした」

 どんな人の人生にも功罪両面があるし、映画監督という仕事をしている以上、いつもいい人でいることはできません。人の人生を変えてしまうこともあるし、ときには恨まれることもある。とくに高畑さんの場合、いい作品を作ることがすべてであって、その他のことにはまったく配慮しないでした。よくいえば作品至上主義。でも、そのことによって、あまりにも多くの人を壊してきたことも事実です。

『火垂るの墓』の作画監督を務めた近藤喜文もそのひとりでした。最初で最後の監督作となった『耳をすませば』のキャンペーンで仙台を訪れた日の夜、高畑さんのことを話しだしたら、止まらなくなりました。「高畑さんは僕のことを殺そうとした。高畑さんのことを考えると、いまだに体が震える」。そう言って2時間以上、涙を流していました。彼はその後、病気になり、47歳で亡くなってしまいます。火葬場でお骨が焼き上がるのを待つ間、東映動画以来、高畑・宮崎といっしょに仕事をしてきたアニメーターのSさんがこう言ったんですよ。「近ちゃんを殺したのは、パクさんよね」。瞬間、場の空気が凍りつきました。ある間をおいて、高畑さんは静かに首を縦に振りました。

 

Anche se ho letto tutto l'articolo di otto pagine, chiaramente non l'ho tradotto "finemente" come per una pubblicazione.

 

Però, provo qui ad arrangiarvi una traduzione scritta quel pezzetto. :-)

 

 

"Takahata-san ha cercato di uccidermi" [lett: "ha fatto così da uccidermi" - il concetto di "cercare/tentare di" in giapponese si esprime in tal modo]

 

Nella vita di ogni persona ci sono entrambi i lati sia buono che cattivo, e oltre a fare il regista, non si può essere sempre una buona persona. C'è anche che le vite delle persone cambiano, a volte capita anche di venire biasimato. Soprattutto nel caso di Takahata-san, nel fare di tutto per creare delle buone opere, oltre a quello non aveva alcuna considerazione. Si potrebbe ben dire di una dottrina della supremazia dell'opera. Però, a causa di ciò, è altresì un fatto che ha distrutto fin troppe persone.

 

Anche Kondou Yoshifumi, direttore dell'animazione che ha lavorato per "La tomba delle lucciole", fu una di queste. La sera del giorno in cui arrivvamo a Sendai per la campagna promozionale del suo prima e ultima opera registica, "Mimi wo Sumaseba", si mise a parlarmi di Takahata-san, ininterrottamente. "Takahata-san ha cercato di uccidermi. Se penso a Takahata-san, ancora adesso mi trema il corpo." Disse così per più di due ore, e versava lacrime. Dopodiché, si ammalò, e finì col morire a 47 anni. Mentre attendevamo che le ossa fossero cremate, l'animatore S-san, che aveva lavorato insieme a Takahata e MIyazaki sin dai tempi della Touei Douga, disse così: "Ad aver ucciso Kon-chan, è stato Paku-san, no?". All'istante, l'aria sul posto si è congelata. E in quel momento, Takahata-san ha annuito placidamente.

 

Chiaramente, non si parla di un singolo evento. Di un tentativo assassino. Si parla del fatto che la lunga collaborazione di Kondou Yoshifumi con Takahata Isao abbia "consumato" il primo.

 

Kondou Yoshifumi è stato colui che ha sostituito Miyazaki Hayao nell'essere il "braccio" di Takahata Isao, direi a partire da Akage no Anne.

 

Online si trovano da sempre gli elogi funebri rivolti a "Kon-chan" sia da Miyazaki che da Takahata, ai tempi del suo funerale.

 

Inerentemente all'intervista di Suzuki, invece, si cita che Miyazaki dice "Ad essere sopravvissuto NELLO STAFF di Takahata, sono solo io".

 

Questa cosa viene molto elaborata. Emerge chiaramente la figura di un regista, Takahata, che chiede moltissimo ai suoi collaboratori sia dal punto di vista lavorativo, che dal punto di vista psicologico. Quello che dice Suzuki "torna" perfettamente con quanto aveva già detto soprattutto Miyazaki in altre sedi. Se possibile, vedrò di dare seguito in questa sede. :-)

Edited by Shito
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Seguo:

Come dicevo, l'articolo è lungo, molto personale (di Suzuki) e molto intenso, per cui non è semplice leggero e "coglierlo". E credo che nell'articolino inglese il contenuo originale sia stato molto travisato.

Per esempio: Suzuki dice che Takahata "antepone l'opera a tutto", e che non esprime gratitudine verso i collaboratori che lavoranp con lui. Non dice che Takahata non sia grato verso i collaboratori (cosa che al contrario sie è pubblicamente vista più volte), dice che "sul lavoro, non lo esprime, e anche se è logico perché si è tutti collaboratori su uno stesso lavoro per contro risulta fallimentare fal punto di vista del clima umano lavorarivo".

Poi Suzuki dice anche che Takahata "distrugge" i talenti, perché li consuma, e che lavorare sotto di lui è una pratica che comporta spossamento. Questo è lo stesso identico discorso che faceva Tateno Hiromi i merito a Miyazaki, sempre con Sunada Mami.

C'è un punto bellissimo, del tutto eliminato dall'inglese. Suzuki dice che sin da Hotaru no Haka non c'è mai stato film che Talahata abbia voluto realizzare, ma che benché tutti sappiano quanto sia duro, sono sempre stati gli altri a spingerlo. Così lui stesso (Suzuki), così Miyazaki, così Ootsuka Yasuo (ai primi tempi). Suzuki ricorda che Miyazaki sosteneva che a voler far fare film a Takahata fosse solo lui (Suzuki), ma poi ricorda che che ai tempi di Heidi proprio Miyazaki passava a prendere Takahata a casa ogni mattina, perché lui non voleva andare al lavoro, e Miyazaki ce lo trascinava. E ancora, che ai tempi del progetto di Kaguya, quando il primo gruppo di lavoro era ancora all'interno dello Studio Ghibli (per la produzione reale si sarebbe poi usato uno studio ad hoc), Tanabe andava ala lavoro al mattino presto, e disegnava, Takahata arrivava di pomeriggio e si arrabbiava perché non gli piaceva nulla. Miyazaki origliava, e poi il mattino dopo andava da Tanabe con finta casualità e gli spiegava cosa intendesse Takahata la sera prima. Aggiungendo sempre: "ma non dirgli che te l'ho detto io".

Suzuki sostiene che benché Miyazaki, dopo il disastro di Yamada-kun, avesse giurato di non voler mai più realizzare un film così, alla fine fosse proprio lui a voler vedere più di tutti un nuovo film di Takahata. E qui aggiunge che Miyazaki dice: "A essere sopravvissuto negli staff di Takahata io sono l'unico".

Suzuki ricorda sempre che per spingere Takahata alla realizzaziome bisogna stargli dietro 24h al giorno. Questo lo diceva anche nel dietro le quinte di Kaguya, e in "Il regno dei sogni e della follia", riferendosi ai tempi di Hotaru no Haka. Il fatto sembra essere che il modo di elaborazione del pensiero di Takahata è dialettico. Lui elabora e ordina i suoi pensieri discutendo. Volendo, è un po' come il mio scrivere certi post sul forum, suppongo. In ogni caso questa cosa torna molto con quel che diceva Ootsuka Yasuo "Miyazaki era il catcher di cui Takahata aveva bisogno come pitcher". Probabilmente l'iperattivo Miyazaki è sempre stato l'unico ad avere energie sufficienti per smuovere Takahata. Lo stesso Miyazaki ha raccontato negli anni vari aneddoti in merito, con lui agitato e Takahata sonnecchioso, ma non credo si tratti di semplice pigrizia - anche se notoriamente Miyazaki dice che Takahata discende non dalle scimmie, ma da un bradipo gigante. Aggiungedo però che i bradipi hanno spaventosi artigli.

In ogni caso, per "convincere" Takahata a fare Kaguya, Nishimura andava a parlargli a casa 10 ore al giorno, per 18 mesi. Ma Suzuki ricorda che già quando lo conobbe all'inizio, per una prima intervista ai tempi di Chie, l'intervista fu tutta una provocazione. Da cui nacque una frequentazione assidua, quotidiana. E alla fine, già a quei tempi, Takahata disse "mi hai aiutato a ordinare i miei pensieri".

Suzuki conclude che Takahata era probabilmente oscillante tra l'istinto di aitodistruzione e il desiderio latente di affetmazione tipico dell'artista. Il che torna PERFETTAMENTE con quanto dichiara Miyazaki nel dietro le quinte di Yamada, quando dice che Takahata è essenzialmente nichilismo, che i ricordi tragici delle esperienze belliche tornano ancora a visitarlo e lo guidano verso l'autodistruzione, così tutte le persone accanto a Takahata si sfiancano per evitare che lui si autodistrugga.

In effetti, lo stesso Suzuki nell'intervista dice che non sa se il carisma di Takahata fosse frutto di vero talento o altro. Così come Tateno Hiromi diceva che non sapeva più, tra Miyazaki e Takahata, chi fosse la luce e chi l'ombra.

Chiaramente nell'articolo c'è molto altro. Possibilmente vedrò di proseguire un altro po'.

Edited by Shito
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  • 4 weeks later...

Bonus:

 

 

peccato non lo abbiano fatto dal BR, comunque i sottotitoli sono quelli, di cui mi sento ancora piuttosto soddisfatto. :-)

 

Si noti che Takahata smentiva quello che poi Suzuki dirà nella discussa intervista postuma, ovvero che lui non ringraziasse i colleghi.

 

Credo che Takahata, a causa del suo nichilismo, fosse in ogni caso difficile da interpretare per persone non come lui (quindi quasi nessuno).

 

Una persona che non avverte la necessità di nulla, vive come fosse già morta, e quindi ha una libertà assoluta, spaventosa. E' una leggerezza esistenziale quasi impensabile per i pià.

 

Leggendo Schopenhauer nell'ottica freudiana, la Voglia di vivere è l'Es, la Rappresentazione della vita è il Superego. Di mezzo ci sarebbe l'Ego, l'io reale, tirato per la giacca da due parti avverse.

 

Takahata fa l'apologia della vita per un banale Es e distrugge il narcisismo dell'Superego. Questo è quello che predica nei suoi film. Ma nella vita, creo che tanto il suo Es quanto il suo Superego fossero quasi azzerati, dalle esperienze di morte da lui patite da ragazzino. Quindi credo che il suo Ego vivesse di un bassissimo Es e di un Superego vacante, che per contro si manifestava solo fittiziamente nelle sue creazioni artistiche, ma non nell'atto creativo in sé, nell'oggetto creato. Ovvero, per lui anche creare le sue opere era non-necessario - ma se le creava, se gli veniva chiesto, allora lo faceva in esercizio della più totale, totale libertà creativa.

 

Dall'intervista, Ujie diceva che in Takahata "restava ancora attaccato qualcosa di marxista". Anche questa è una cosa difficile da leggere, detta da un anziano giapponese. Io credo che lui si riferisse alla prospettiva socialista MASSIMALISTA per cui l'idea, la prospettiva, vale più della vita dei singoli.

 

Se ho capito bene, alla fine la psicologia di Miyazaki è quella tipica di un sociopatico narcisista - ovvero un otaku [ante litteram], un bimbo viziato, un socialista minimalista (Julien Soriel, per capirci) - che ha effettivi valori e talenti ma anche un passato di coccole che hanno gonfiato a dismisura il suo ego al punto di credersi "bravo solo lui", che diviene voglia di affermarsi, retropensiero di non essere capito, e in età avanzata una forma di burbera sociopatia narcisistica, appunto.

 

Al contrario, Takahata avrebbe avuto l'attitudine più "psicopatica" del massimalista, che per assenza di empatia reale col prossimo dissocia Es e Superego, e soprattutto non riesce a empatizzare col legittimo Es altrui.

 

Declinando il tutto a due menti e vite giapponesi, chiaramente. Che non vuol dire poco, ma non saprei spiegarlo. Scusatemi.

Edited by Shito
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Ieri sera mio nipote 17enne ha visto Hotaru no haka. Lo ha adorato ma, come prevedibile, lo ha frainteso.

Quando oggi ne abbiamo parlato e gli ho spiegato il vero significato del film ha avuto tipo un'epifania!^^

Adesso guarderà Kaguyahime e in futuro (oltre al mio impegno -cmq lui si presta volentieri- di fargli sciroppare tutto pakusan)

gli farò leggere questo topic (e altri). Magari certe cose le capirà meglio quando sarà più grandicello, ma è cmq piacevole

vedere qualcuno così giovane con il giusto atteggiamento mentale.^^

Concordo sulle definizioni relative alle psicologie di Miyasan e Pakusan, davvero una "strana coppia" di colleghi/amici/collaboratori.

Credo in ogni caso che alcune cose più "mature" (che magari sono quelle che lui stesso più critica) di Miyasan non sarebbero mai saltate fuori se non ci fosse stato Pakusan.

E, fortunatamente per tutti, lo studio nato per dare necessariamente forma alle storie di Miyazaki ha fatto lo stesso con quelle

"non necessarie" (ci siamo capiti^^) di Takahata. A questo proposito, mi dispiace per il povero Kondò, ma purtroppo certe storie

in Giappone (terra di stacanovisti) non sono certo mai state una novità. Indipendentemente dalle dichiarazioni, personalmente

e in ogni caso non ne farei colpa più di tanto a Pakusan. E non dimentichiamo che lo stress più recente per Kondò era quello dovuto

alla lavorazione di Mononoke Hime (similmente, non ne farei colpa nemmeno a Miyasan, cmq)...

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Avevo scritto (stavo scrivendo) una bella (?) risposta, ma il browser me l'ha mangiata. Per ora riscrivo solo i ringraziamenti a Den-chan per aver raccontato della bella esperienza con suo nipote, che davvero rende giustizia al film (e un po' nel mio piccolissimo mi rende felice di averne confezionato un'edizione italiana fedelmente fruibile).

Edited by Shito
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Ah, dimenticavo. Trovo sia mirabile passare da Hotaru no Haka a Kaguya - per un adolescente.

 

Purtroppo Yamada-kun è poco leggibile per un giovane della sua generazione, perché è molto legato al modo degli anni 90.

 

Allo stesso modo, PoroPoro - e in più è anche molto sociologicamente nipponista. Sociologia storica.

 

Ponpoko ancora di più.

 

Credo che Hotaru e Kaguya, oltre che l'apha e l'omega della produzione più matura, libera e già "anziana" di Takahata, siano anche i più "universali".

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Concordo che, nel caso specifico, passare da Hotaru no Haka a Kaguyahime sia ottimale.

In realtà, però, con il pretesto che mio nipote ha dovuto rimandare la visione della seconda citata,

e in merito ad alcune sue considerazioni sullo stile grafico del film già visto (più o meno: "peccato che i disegni siano così

simili a quelli dei film di Miyazaki, sarebbe bello se in altri film di Takahata lo stile grafico fosse più "originale") stavo pensando di fargli vedere

i Ghibli di Pakusan rimasti in ordine cronologico, per concludere con il tripudio visivo (e soprattutto funzionale) appunto di Kaguya.

Ovviamente ho spiegato a mio nipote che Takahata non è un regista animatore, e che cmq le differenze ci sono eccome.

Premetto che i film di Miyasan li ha già visti tutti (Chihiro e Sen il suo preferito). Viste le circostanze, credo che lo indirizzerò

appunto verso la visione in ordine cronologico.

PoroPoro (mio personale preferito, ma considero Kaguya il capolavoro) lo vedremo probabilmente insieme questo fine settimana,

e qui non mi preoccupo più di tanto: una volta chiarito il contesto sociologico, e forte magari di alcune passate discussioni avute sul

personaggio di Misato -la trentenne giapponese single Misato- in Eva (che, manco a dirlo, gli ho già fatto vedere da tempo^^)

credo che mio nipote si lascerà avvolgere dalla bellezza del film senza troppi problemi.

Per Ponpoko e Yamada-Kun credo le cose saranno più complicate (ho avuto difficoltà a farli apprezzare a persone ben adulte e vaccinate),

ma cercherò di farglieli "assimilare" correttamente (senza voler essere troppo invadente, per carità!).

In questo, naturalmente, verrò aiutato dall'ottimo doppiaggio italiano :thumbsup: .

Infine, Kaguyahime.

Poi gli consiglierò i due film del buon Gorou (lo rivoglio all'opera!). Credo ne converrai, Shito:-)

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Sicuramente se si tratta di apprezzare/cogliere l'evoluzione stilistico-espressiva del regista, non c'è che l'ordine cronologico.

 

La coppia Hotaru no Haka e Omohide Poroporo rappresentano il raggiungimento di un apice di realismo visivo nella "animazione tradizionale" che temo resterà ineguagliato per sempre, perché non è il compiacimento della minuzia grafica di Miyazaki, né l'onanismo fotorealistico di Shinkai, ma una vera "ricreazione realistica del reale, dopo la digestione umana". Nell'ottica/pensiero di Takahata, questo processo include anche una involontaria, subconscia "selezione" del dettaglio preservato e di quello eliminato dalla realtà, in cui risiede l'intrinseca carica simbolistica, pseudo-surrealistica della comunicazione animata. Di mio concordo.

 

E' ovvio però che dopo aver toccato l'apice in PoroPoro, l'opera successiva non avrebbe potuto che andare smepre più verso livelli di simbolismo grafico più spiccati. Già Poroporo, per sua natura di contenuto, pure già introduceva un elemento di surrealismo grafico molto più spicato che Hotaru (lì i due spiriti in rosso che rivivono le vicende da spettatori, specie quello di lui - elemento assente nel libro e spesso semplicemente non considerato nelle analisi del film) - mentre con Taeko abbiamo il piano narrativo dei ricordi con un croma diverso, fondali sfumati ai bordi, e scene surrealiste che talvolta mischiano persino realtà e finzione, avvicinandosi a uno stile shoujo (e KareKano era di là a venire, eh!). Con Ponpoko, gli stili grafici iperrealisti, fumettosi e caricaturali si mischiano. Una volta i tanuki sono animali come in un documentario, stacco e sono personaggi antropomorfizzati come in un film "a là Disney", stacco e sono le macchiette stilizzate di una striscia umoristica - spesso senza soluzione di continuità.

 

Chiaramente, il passo successivo era Yamada-kun. Aggiungere dettaglio comunicativo per sottrazione di dettaglio grafico. Lasciare spazi bianchi nel disegno che il subconscio dello spettatore sarà obbligato a riempire.

 

Kaguya riparte da lì.

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  • 2 weeks later...

Breve aggiornamento.^^

Mio nipote ha finito di vedere (in ordine cronologico, come dicevo) i film Ghibli di Takahata.

Poco fa mi ha mandato un messaggio vocale dove parlava dell'appena terminata visione di Kaguyahime.

Aveva la voce rotta dall'emozione. Grazie, Pakusan.

Edited by Den-chan
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  • 2 weeks later...

Alla fine sto rivedendo anche io i film di Pakusan.

 

Hotaru, PoroPoro e Kaguya li ho tutti rivisti con grande attenzione.

 

Sorprendentemente, quello che mi ha dato maggiori punti di riconsiderazione è stato Hotaru.

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